Con una storia personale multiculturale, la conduttrice è una delle prime promotrici di un avvicinamento tra Islam e Occidente in un paese dove la condizione femminile non consente di guidare in autonomia o candidarsi per determinati lavori. Un processo di rinnovamento che avviene soprattutto a partire dal 2002, anno nel quale l’attivista viene scelta come presentatrice del talk show Kalam Nawaem del network panarabo con sede a Dubai Middle East Broadcasting Center (MBC). L’evento è epocale: si tratta della prima donna saudita a comparire su un canale internazionale. La strada per l’emancipazione è tuttavia ancora lunga. L’Arabia Saudita si colloca nel 2013 al 127° posto del Gender Gap Index su un totale di 136 paesi misurati e le donne vivono restrizioni enormi rispetto alla propria vita personale, incontrando ostacoli come il divieto di guida e il parziale accesso a una carriera professionale.
Un soffitto di cristallo che può essere abbattuto solamente cambiando radicalmente la cultura patriarcale che identifica la donna come un oggetto da possedere e controllare secondo i propri bisogni. Per questo Muna rivendica la propria autonomia, firma una linea di veli e abiti tradizionali rinnovati nei tessuti e nelle fantasie, e viene scelta dal principe saudita per guidare l’associazione Alwaleed Bin Talal Foundation, organo incaricato di migliorare l’empowerment femminile e le relazioni con l’Occidente. Ed è forse grazie anche al lavoro costante dell’attivista saudita e delle tante personalità che sostengono un paese più progressista e egualitario, che appare meno improbabile l’annuncio fatto nel 2011 dal re Abdullah di dare la possibilità di votare anche alle donne a partire dal 2015. Un traguardo importante che molti aspettano con ansia guardando ad un futuro migliore grazie anche agli occhi di Muna.