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Smart Working, il lavoro agile in prova a Milano

Il 6 febbraio l’ufficio diventa mobile con una giornata di sperimentazione

Donna al lavoro
 thinkstock
Il regime subordinato del futuro? Flessibile, slegato da luoghi fisici standard, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi prefissi e non remunerato sulla base della quantità di tempo speso in azienda. Questo il quadro delineato dallo Smart Working, una modalità di lavoro agile che sarà protagonista della giornata di sperimentazione del 6 febbraio indetta dal Comune di Milano con il coinvolgimento di 100 aziende tra private, enti pubblici e studi professionali. Anche la gestione cittadina proverà a partecipare attivamente proponendo ai 15 mila lavoratori dell’amministrazione una giornata di occupazione smart. 
 
Promuovere il cugino stretto del telelavoro, è il traguardo auspicato dalla proposta di legge in materia depositata in Parlamento da Alessia Mosca (Pd), Barbara Saltamartini (Nuovo centrodestra), Irene Tinagli (Scelta Civica). Con lo Smart Working sarà possibile lavorare da casa o da qualunque altra postazione, attraverso orari flessibili concordati con il committente e alternando, a seconda della cornice pattuita con l’azienda, momenti di telelavoro e presenza in ufficio.

E non parliamo della prerogativa di un qualche visionario appassionato di tecnologia. Il lavoro agile è una realtà che in Europa è in grado di aumentare, secondo uno studio condotto dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, fino a 27 miliardi in più la produttività con 10 miliardi in meno di costi fissi per l’azienda. 

 
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Numeri corposi che attestano un taglio delle spese e pongono diversi interrogativi. Ma rivoluzionare la cultura del lavoro in Italia non è un’impresa semplice. La gerarchia dei ruoli, una certa ristrettezza nelle norme di sicurezza e una lenta capacità di innovare all’interno delle piccole e medie imprese, sono solo alcuni dei fattori che frenano il cambiamento. E a pagarne il conto è la basse percentuale di utilizzo del telelavoro. Quest’ultimo è presente nel 20% delle imprese ma disponibile a tutti i lavoratori solo nel 2% dei casi e nel 2013 la percentuale dei telelavoratori per più di un quarto del loro tempo lavorativo è stata appena il 6,1%.

Questo perché la tipologia di lavoro a distanza concepita dalla precedente normativa, prevedeva costi sostenuti per regolamentare la messa in sicurezza della postazione lavorativa. Lo Smart Working concentra invece gli standard della sicurezza intorno alla fornitura di mezzi telematici e informatici conformi agli standard tecnici e normativi, insieme alla prevenzione e al monitoraggio di condizioni potenzialmente rischiose per la salute del lavoratore. Regole più leggere ma anche maggiore duttilità nell’organizzare modalità e tempi di esecuzione delle rispettive mansioni.

Gli scenari sono ancora però aperti ed è proprio attraverso l’iniziativa del 6 febbraio, alla quale hanno aderito realtà come Barilla, Unicredit e Nokia, che si vuole stimolare un dibattito costruttivo sugli aspetti da migliorare e integrare al modello Smart Working ipotizzato. Restano molte domande; per esempio su come fissare un nuovo criterio di valutazione, ma si tratta di un primo passo nella direzione della progettazione di nuove tipologie di impiego che includano nel management aziendale le diverse esigenze dei dipendenti. Il traguardo finale è il miglioramento dell’equilibrio tra vita e lavoro: per essere davvero smart in una società in cui la tecnologia ha profondamente ridisegnato le possibilità di autonomia degli individui. 

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