La facciata futuristica dell’Acquario di Saragozza o il profilo notturno del Teatro dell’Opera di Valencia: l’architettura d’avanguardia esprime il proprio lessico di volumi puri e forme colossali attraverso gli scatti di “El Arte de la Construcción en España”, in mostra a Roma fino al 14 febbraio 2014 presso la Reale Accademia di Spagna.
A dispetto del ruolo sociale riconosciuto ormai universalmente all’architettura, crescono le difficoltà legate alla promozione dell’estetica del progresso all’interno dei tessuti urbani testimoni del passato culturale dell’Europa. Ne abbiamo discusso con Ricardo Santonja, autore delle opere esposte a Roma. Ecco cosa ci ha raccontato.
Com’è nato il progetto della mostra?
E’ metà della mia vita. Si tratta di un progetto di ricerca volto a rappresentare e comunicare l’architettura al mondo. Vado nelle scuole di architettura, a Madrid e, più recentemente, a Saragozza, per insegnare la comunicazione dell’architettura. Quando le foto raccolte hanno cominciato ad accumularsi, ho pensato a una mostra di questo tipo per insegnare il lavoro degli architetti e dei costruttori. In una situazione di crisi economica per la Spagna qual è l’attuale ho ritenuto potesse essere importante mostrare quello che fanno e hanno fatto i professionisti del settore, cercando di uscire dal paese, professionalmente parlando.
In un periodo di sfiducia per il Paese pensa che il suo lavoro possa riavvicinare i cittadini all’arte pubblica e alla riscoperta del senso della comunità?
Sì credo che in questo momento ci sia bisogno di mostre di questo tipo che ricordino quanto si è fatto fino ad adesso, per poi insegnarlo e elaborare insieme una via d’uscita. In Spagna si è costruito molto. C’è stata una crisi grandissima, una bolla immobiliare e, in questo momento, dobbiamo fare molti sforzi per promuovere il lavoro realizzato fino ad oggi. Si tratta di un lavoro di qualità, non solo per gli spagnoli ma per tutto il mondo. Molti architetti sono stranieri e questo è un progetto che mira a trovare lavori per le imprese spagnole anche all’esterno.
In alcune fotografie le forme architettoniche sono molto solide. In altre, il linguaggio diventa quasi pittorico. Questo secondo tipo di lavori rappresenta maggiormente il suo stato emotivo?
Sì sono due aspetti della mia personalità: da un lato la robustezza del lavoro, della creazione e la sua concretezza; dall’altro il riflesso e la leggerezza dei miei sentimenti. Ho visto che questi ultimi si potevano esprimere meglio con la luce, con il lavoro su di essa e ho cominciato molto giovane, all’età di diciassette anni, a manipolare questo sistema di movimento. Poi, crescendo, mi è piaciuto sempre più perché come dice Einstein “il mondo è relativo, la passione e le sensazioni si possono unire al concreto, al movimento”.
In Spagna negli ultimi anni la tendenza è stata quella di costruire piccole e medie infrastrutture nella città: musei, biblioteche piazze. Qual è il luogo che ha vissuto maggiormente un processo di riqualificazione di questo tipo?
In Spagna abbiamo visto numerosi cambiamenti nelle nostre città e in tutto il territorio nazionale. Dai piccoli paesi alle città. E’ proprio in queste ultime che hanno avuto maggiore rilievo. E’ il caso, tra gli altri, di Madrid, Valencia, Barcellona, Saragozza, Siviglia. Ci sono anche casi come quello di Malaga e Bilbao che sono stati punti di svolta per il cambio della città. Non solo in architettura bensì anche nell’ingegneria urbana e portuale. A Malaga e Alicante ma anche a Barcellona e a Gijón, l’urbanesimo ha sempre voltato le spalle al mare. Oggi il mare si è introdotto nel sistema urbanistico e partecipa attivamente alle attività umane. A Malaga, “El Palmeral de las Sorpresas” o, a Gijón, l’Acquario dell’architetto Alvaro Planchuelo e, ancora, a Valencia, l’edificio “Velas al Vent” di Fermin Vázquez e David Chipperfield: sono questi gli esempi che hanno abbellito le città di tutto il territorio spagnolo. Anche nei paesi e città più piccole si sono realizzate numerose azioni architettoniche pubbliche e private come la Bliblioteca Pubblica di Ceuta di Paredes e Pedrosa o il CaixaForum di Saragozza di Came Pinós.
Che ne pensa delle cosiddette archi-star? Portano interesse alla disciplina o rischiano di focalizzare troppo l’attenzione sulle personalità piuttosto che sui progetti?
La mia opinione personale è che in Spagna stiamo cambiando idea sulle archi-star. Non sono solo quelle che il mondo conosce. D’altronde nella mostra ci sono tanti architetti che dimostrano di essere delle vere stelle. Si tratta di modelli architettonici realizzati da architetti brillanti con presupposti normali e, senza dubbio, i risultati sono di altissimo livello, senza avere nulla in meno dei progetti delle archi-star.
Per dirla in maniera poetica, il nostro firmamento architettonico è pieno di molte stelle che brillano a differenti intensità. Rispetto l’idea che il mondo abbia delle archi-star ma, nella maggior parte dei casi, Santiago Calatrava con le sue opere a Valencia, Frank O Ghery a Bilbao o Herzog & de Meuron a Tenerife, riescono a realizzare delle opere iconiche nella città con un impatto in termini di turismo tale da essere di importanza vitale per qualsiasi città del mondo. Questo è impagabile.
In Spagna, come in Italia, esistono strutture antichissime, e spesso i critici dell’architettura d’avanguardia davanti all’annuncio di un nuovo progetto si preoccupano dell’inserimento in tessuto urbano storico. Secondo lei come si vince la sfida nel coniugare tradizione e modernità?
In Spagna le architetture più sorprendenti come il Guggenheim di Bilbao, la Città delle Arti e le Scienze di Valencia o le abitazioni collettive di grande importanza per il disegno sono state realizzate nelle periferie di queste città o in zone industriali. Parlando di centro storico, credo che in Spagna ci siano più trasformazioni rispetto ad altre città storiche come Roma anche se credo che i risultati siano stati azzardati per la maggior parte dei casi. Senza cambi estetici non esiste progresso. Credo che la trasformazione dal romanico al gotico, poi il rinascimento e via dicendo avrà suscitato polemiche ma, poi, è diventata parte delle città che osserviamo. Il nuovo edificio genera un’estetica e una funzione che si adattano al nuovo momento storico e allo spazio.
Foto: Ricardo Santonja