Lavorava come bambinaia, ma non usciva mai di casa senza la macchina fotografica: Vivian Maier è oggi considerata una delle fotografe più importanti del dopoguerra, capace di raccontare con delicatezza lo spirito e le contraddizioni dell’american lifestyle degli anni 50.
Il suo talento, celato fino al giorno della sua morte, rivive oggi in una bellissima mostra a Ville Lumière: la prima esposizione di Vivian a Parigi, allestita fino al 21 dicembre presso Les Douches La Galerie.
Rimasta nell’ombra fino al 2009, anno della sua scomparsa, Vivian Maier viene casualmente scoperta quando, in mancanza di persone che curassero i suoi averi, il materiale fotografico da lei accumulato nell’arco di decenni è messo all’asta. Più di 40mila negativi, di cui 15mila mai sviluppati, sono la sua preziosa eredità: un vasto tesoro in cui scorrono le immagini di venti anni di storia americana, tra cambiamenti di costume, interazioni umane struggenti, comiche e poetiche.
Vivian Maier nasce a New York il 1 febbraio del 1926. Trascorre l’infanzia in Francia e nel 1949 scopre l’amore per la fotografia grazie a una modesta macchina fotografica, la Kodak Brownie. Nel 1951 ritorna negli Stati Uniti per cercare fortuna, si trasferisce a Chicago nel 1956 e viene assunta come baby sitter, un’attività che condurrà per tutta la vita. Sempre sola e molto silenziosa la giovane Vivian trascorreva i giorni liberi passeggiando per le strade della città con una fotocamera Rolleiflex 6×6, raccogliendo immagini e ritratti di un paesaggio urbano composto da un mosaico di volti di ogni età e ceto sociale.
Oggi a Parigi si possono ammirare quelle stesse opere che realizzò a Chicago: dai volti austeri delle signore impellicciate agli sguardi malinconici della gente di colore riflessi nelle vetrine scintillanti. Intensa e profonda anche la sua ricerca sull’autoritratto, un sé rappresentato esclusivamente attraverso ombre e riflessi, quasi a sottolineare quel talento nascosto che per tutta la vita l’ha accompagnata.