Un paio di occhiali da sole dietro ai quali nasconde la sua minacciosa espressione da “Brad Pitt latino”. A sentirlo parlare, però, ci si accorge che Benicio Del Toro è uno degli uomini più gentili e intelligenti presenti a Cannes al momento della nostra intervista. E soprattutto un attore che lavora sodo: “Ve lo confesso: il mio mestiere è veramente difficile. Spesso può diventare veramente stressante. Fare un film è una cosa molto complicata”.
A Cannes presenta Jimmy P. dramma in cui interpreta un indiano d’America traumatizzato dopo essere tornato dalla Guerra. Viene mandato in una clinica psichiatrica per sottoporsi a diverse cure, finché il noto antropologo Devereux (personaggio veramente esistito e interpretato da Mathieu Amalric) riesce a guarirgli l’anima.
La premessa del film ci permette di fargli abbassare la guardia e farlo parlare della sua esperienza con la psicoanalisi anche fuori dal set.
Benicio sei mai stato in analisi?
Certamente. Direi che più o meno ho cominciato a farlo sin da quando faccio questo mestiere. In un certo senso ha fatto parte del mio processo di ricerca. Sono un attore responsabile, e il mio mestiere riguarda anche l’essere in grado di leggere l’animo delle persone. Tutti gli attori sono un po’ interessanti alla psicoanalisi.
Nel film ti vediamo raccontare sogni molto personali. Cosa sogna Benicio Del Toro?
Uno dei miei ultimi sogni è stato quello di un cane enorme che mi chiudeva la mano tra le sue fauci. Io rimanevo in trappola, non riuscivo a tirare fuori la mano. Mi sentivo in pericolo. A un certo punto – nel sogno – mi sono detto: “cosa farei se fossi il cane?”. Allora ho capito che dovevo tappargli il naso, e fare in modo che quello per respirare aprisse la bocca, liberandomi la mano. Che vuol dire? Non saprei! Però somiglia un po’ al metodo dell’attore. Tutte le volte comincio sempre con il chiedermi: “Cosa farebbe Benicio?”. Dopo un po’ divento il personaggio.
Sempre a proposito di psicoanalisi. Dopo anni di esperienza hai imparato a conoscerti meglio? Sai dove stai andando?
Penso di conoscermi un po’ meglio. Direi comunque che è un work in progress, sono cambiato rispetto a quando avevo 22 anni. Il mio segreto è cercare di sentirmi costantemente motivato.
Come ci riesci?
La paternità in primis (Del Toro è padre di Delilah, nata nell’estate 2011, N.d.R.). Altre volte basta affidarmi a un po’ di buona musica: amo molto Bruce Springsteen, soprattutto Darkness on the Edge of Town.
Diventare padre è stata un’avventura spaventosa oppure sei rimasto con i piedi per terra?
E’ ancora spaventoso! Penso che si tratti di un innamoramento costante. Un processo interessante, bello ma anche complesso.
Faresti vedere a tua figlia i tuoi film? E’ una cosa che speri di fare un giorno e che potrà riempirti di orgoglio?
Spero che li guarderà. Certamente non ho intenzione di mostrarle Le belve al più presto! Mi piacerebbe spiegarle tutto sui miei progetti: cosa ha funzionato in quel determinato film e cosa invece è andato storto. Ecco, vorrei farle capire quanto è complesso il mestiere di suo padre. Ci vorrà del tempo però. Vi confesso, però, che ho già provato a mostrarle qualche film di Chaplin.
Parliamo un momento di donne. Hai mai avuto un’icona erotica da ragazzino?
Mi è sempre piaciuta Linda Carter nei panni di Wonder Woman. All’epoca il mondo si divideva in due: chi amava Farrah Fawcett e chi invece seguiva Linda Carter. Io facevo parte del secondo gruppo.
A 46 anni sei un sex symbol. Come vivi questo status?
Siete sicuri che lo sia ancora? Proverò a farmi valere stasera a Cannes…