Secondo Philip Davis, professore di letteratura dell’Università di Liverpool, la lettura delle opere di Shakespeare e di altri autori classici come Wordsworth ha un effetto benefico sulla mente: cattura l’attenzione del lettore ed attiva momenti di auto-riflessione. Tale studio è stato condotto con l’aiuto di Guillaume Thierry, esperto di Neuroscienze cognitive all’università di Bangor, e Neil Roberts, professore di Fisica applicata alla medicina.
Attraverso encefalogrammi e risonanze, gli esperti hanno monitorato l’attività cerebrale di 30 volontari che dal 2006 ad oggi sono stati sottoposti alla lettura di opere e poesie di William Shakespeare, tra cui il Re Lear, l’Otello e il Macbeth nella loro forma originale e successivamente in quella moderna.
I risultati hanno dimostrato che di fronte a parole insolite e sorprendenti i lettori hanno avuto un vero e proprio eccitamento neurologico.
La ricerca ha anche scoperto che la lettura della poesia, in particolare, aumenta l’attività dell’emisfero destro del cervello, una zona legata alla “memoria autobiografica”, che aiuta il lettore a riflettere e rivalutare le proprie esperienze alla luce di ciò che si legge.
“La poesia non è solo una forma di stile – ha affermato Philip Davis – Si tratta di una versione profonda di esperienza che aggiunge una biografia emotiva al pensiero cognitivo”.
Secondo il professore, infatti, le parole di Shylock e Giulietta sono più utili dei manuali di “auto aiuto”. Il linguaggio innovativo di Shakespeare nella versione originale ha un effetto terapeutico: “La ricerca mostra come la potenza della letteratura può deviare i percorsi mentali, per creare nuovi pensieri, forme e connessioni sia nelle persone giovani che in quelle di età avanzata.”
Il professor Davis eseguirà lo stesso studio anche attraverso la lettura delle opere di Charles Dickens, per verificare se le revisioni che lo scrittore ha realizzato sulle sue prose innescano una maggiore attività sul cervello rispetto ai testi originali.