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Il cibo spazzatura crea dipendenza

Un’indagine del premio Pulitzer Michael Moss evidenzia come le multinazionali rendano i consumatori dipendenti da sale, zucchero e grassi

Ragazza con hamburger

Avete presente quando aprite un pacchetto di patatine pensando ‘ne mangio solo una manciata’ e in meno di 5 minuti vi ritrovate ad aver ingurgitato quasi tutto il pacchetto? E’ molto probabile che ciò accada non perché sono ‘buone’, ma piuttosto perché il sale contenuto vi ha dato immediata dipendenza, tanto da provocare quella sensazione di non riuscire a fermarsi. Questo è il punto di partenza dell’indagine condotta dal premio Pulitzer Michael Moss nel suo libro Salt Sugar Fat, How the Food Giants Hooked Us edito da Random House (Sale Zucchero Grassi, Come i giganti del cibo ci hanno agganciato).

Il reporter del New York Times sostiene che le grandi multinazionali dell’industria alimentare ci rendono assoggettati ai loro prodotti attraverso l’uso di sostanze altamente addictive (che danno dipendenza) e in particolare con la giusta dose di tre ingredienti: sale, zucchero e grassi. La giusta dose, chiamata anche ‘bliss point’: non devono mai essere troppo, altrimenti si rischia il punto di saturazione, o troppo poco, sennò non danno abbastanza piacere. Discorso che vale per il cosiddetto junk food, ma anche per tutto il cibo processato: anche nei sughi pronti c’è la giusta dose di sale, zucchero e grassi, così come negli alimenti preparati. Il contesto in cui Moss si muove sono naturalmente gli Stati Uniti, dove il consumo di cibo spazzatura ha il primato mondiale, così come quello dell’obesità e dei problemi annessi.

Oltre ad elencare e aneddoti su alcuni dei cibi più comuni (come i 9 cucchiai di zucchero che contiene una lattina di Coca-Cola per  esempio), il giornalista vuole dimostrare come le grandi industrie alimentari manipolino i cibi perché la gente li desideri talmente tanto da non poterne fare a meno, a spese della propria salute ovviamente. Dimostra inoltre come le aziende si ingegnino a ritornare sul mercato con i loro prodotti quando subiscono dei momenti di eclissi, e di come molte difendano il loro operato attraverso strategie di marketing che fanno sembrare questi cibi innocui, o comunque troppo buoni per rinunciarvi. Moss arriva addirittura a far ammettere ad alcuni dirigenti che non darebbero mai i loro prodotti ai figli, almeno non tutti i giorni.

Puntualizza anche come il danno e la beffa del cibo processato vadano ben oltre quello che si considera cibo spazzatura: per esempio nei cereali per la colazione, in teoria sani e funzionali, gli additivi, gli zuccheri, il sale e i grassi sono ampiamente presenti; e anzi la loro preparazione toglie la maggior parte dei benefici lasciando solo prodotti ‘vuoti’ o addirittura nocivi. Questo punto in particolare è sviluppato da un altro libro, Pandora’s Lunchbox: How Processed Food Took Over the American Meal di Melanie Warner. Purtroppo molte di queste inchieste riescono ad influire sui comportamenti alimentari degli americani solo per un lasso di tempo minimo: le campagne contro il cibo spazzatura attecchiscono, ma poi l’industria si ingegna a tornare sul mercato con un prodotto che sia più ‘light’ o ‘arricchito di vitamine’ o semplicemente con packaging e formati diversi, e in un attimo tutto viene dimenticato. Basta pensare che dopo grandi successi cinematografici  d’inchiesta come Super Size Me e Fast Food Nation la clientela di McDonald’s e simili non è diminuita per niente!

In Italia il problema è molto meno sentito, complice una dieta mediterranea centenaria e la tradizione di cucinare. E’ per questo che inchieste come quella di Moss dovrebbero anche far riflettere sul fatto che l’industria alimentare è colpevole e ingannevole certo, ma il consumatore è liberissimo di scegliere, di informarsi su cosa mangia, eppure non lo fa. Anche negli Stati Uniti esistono la frutta, la verdura, il cereali grezzi. Eppure ai bambini per merenda viene dato il latte al cioccolato o alla fragola, che naturalmente garantisce una fidelizzazione praticamente eterna, visto che la dipendenza da zuccheri sopraggiunge sin dall’infanzia. E che gli zuccheri diano dipendenza non è una scoperta di Moss, ma fatto scientificamente provato, secondo alcune ricerche addirittura paragonabile alla cocaina. Insomma sarà anche colpa delle multinazionali, ma si tratta anche di un fatto di cultura e politico: se gli industriali fossero obbligati a scrivere sull’etichetta che troppo sale fa male alla salute forse qualcuno smetterebbe di abusarne. Ma fino ad allora sforzarsi di leggere le etichette e informarsi dovrebbe essere un dovere di tutti, perché facendo la spesa il consumatore ha il potere di decretare il successo o il declino delle multinazionali.

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