L’Aquila prima, l’Aquila dopo, cercando di intrappolare in una fotografia, il segno distintivo del cambiamento e il soffio della tragedia. “L’Aquila prima e dopo. Fotografie di Gianni Berengo Gardin” è la mostra inaugurata mercoledì 27 settembre a Roma presso gli spazi del Museo di Roma in Trastevere, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali, Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, in collaborazione con Contrasto e One Group, a cura di Alessandra Mauro e Suleima Autore all’interno del festival FotoLeggendo.
Tre anni, quasi quattro, sono passati dal terremoto del 6 aprile 2009, che ha cambiato il volto della città e l’animo dei suoi abitanti. Il fotografo Gianni Berengo Gardin, vincitore del World Press Photo nel 1963 e del Leica Oskar Barnack Award nel 1995, ha esplorato per la prima volta la città 16 anni fa, immortalandone lo spirito vitale, l’architettura e torna adesso a raccontarne il degrado con dure testimonianze delle condizioni del centro storico, trafitto da impalcature e dal silenzio assordante dell’abbandono degli abitanti.
Muovendosi a cavallo tra le fotografie scattate anni fa e quelle di oggi, il fotografo paga il personale tributo ai cittadini dell’Aquila e al loro dolore, incendiando la denuncia di un abbandono inspiegabile. Lo stile è classico, in linea con la grande tradizione della fotografia impegnata, asciutto e rigoroso, è piuttosto la realtà a bruciare. “La cosa più impressionante”, racconta il fotografo è “il silenzio che c’è per le strade. Non passa nessuno; non c’è nessuno. Non ci sono i bambini che giocano, le donne che fanno la spesa, la gente che va in ufficio. C’erano solo quattro cani abbandonati che giravano. E io, che sono abbastanza vecchio, ricordo a Roma com’era San Lorenzo dopo il bombardamento degli americani. Avevo 14 anni ed era la stessa cosa. I cani randagi che giravano abbandonati per la città, le case puntellate e questo silenzio di morte”. Oggi il vero pericolo, non è una minaccia dall’alto ma l’assenza delle istituzioni, la lontananza tra il cittadino e lo Stato. In questa distanza pericolosa si inserisce il prezioso lavoro di documentazione e ricostruzione di Gianni Berengo Gardin, perché l’Aquila, già abbandonata, non sia definitivamente dimenticata.