Facebook delude le attese. Il social network, che venerdì, a 8 anni dalla sua nascita, si è quotato in Borsa (a causa di problemi tecnici del Nasdaq, l’avvio delle contrattazioni è stato ritardato di mezz’ora) rendendo il suo fondatore e ceo, Mark Zuckerberg, uno degli uomini più ricchi del pianeta, ha chiuso la prima giornata di contrattazioni sull’indice Nasdaq di Wall Strett appena sopra il prezzo di collocamento, a 38,23 dollari (+0,61%), dopo aver sfiorato per pochi istanti i 45 dollari (+18%).
E le malelingue finanziarie sostengono che il titolo non ha fatto peggio solo grazie sostegno delle grandi banche che hanno sottoscritto il collocamento. Spiazzati dunque gli analisti che, convinti di assistere a un rally senza sosta delle azioni, erano addirittura arrivati a parlare di balzi di oltre il 50% e di potenziali incrementi del 10-20%.
Molto sostenuti gli scambi saliti fino a 566 milioni di pezzi per un controvalore di oltre 22 miliardi. A questi prezzi la società vale poco più di 104 miliardi di dollari calcolando però anche le opzioni che ancora non sono state convertite in azioni: al netto dei titoli virtuali la capitalizzazione ammonta a 81,2 miliardi di dollari. In ogni caso un’Ipo (Initial public offering) storica, la prima fra le tecnologiche e la terza della storia americana, dopo Visa e General Motors: era dal 19 agosto 2004, quando Google è sbarcata in borsa, che non si registrava un’attesa tanto febbrile per una società tecnologica.
A rovinare la giornata è arrivata poi la notizia della class action intentata da un gruppo di utenti in California che accusano Facebook di aver violato la propria privacy, continuando a tracciare le loro attività, anche quando erano usciti dal loro account. Un’azione collettiva che potrebbe costare a Zuckerberg e Co. 15 miliardi di dollari e che alimenta le perplessità sulle note questioni sulla privacy che hanno sempre gettato ombre sul social network.