Parlare di morte, di suicidio, di eutanasia non è facile. Scatta subito il moralismo o si alzano in piedi i difensori della libertà individuale, ma per evitare banalità ed affrontare il tema in maniera diversa, giunge in soccorso l’ironia. “Kill me please” inizia come un film d’autore raffinato, in bianco e nero, con scenografie raggelate, e pian piano si trasforma in una black comedy che strappa un sorriso perenne. Il giovane regista francese Olias Barco non è proprio alle prime armi, aveva già girato cortometraggi ed un lungometraggio nel 2003 (“Snowboarder”, un flop che aveva portato il regista sull’orlo del suicidio), ma è con quest’opera che crea una poetica che si spera riesca a mantenere nel corso degli anni. Il tono surreale si mescola con il cinismo, ponendo interrogativi seri in maniera ironica.
La clinica del dottor Docteur Krueger, immersa nella neve, applica il suicidio assistito e sono in molti a trovarvi conforto e ricovero. Il giovane sfiancato dalle battaglie legali per ottenere l’eredità, il vecchio cabarettista senza più voce, l’uomo che si è giocato a carte la moglie, tutti hanno un loro perché, tutti sono stanchi di vivere. Ma qualcosa si ribalta e, paradossalmente, la lotta per la sopravvivenza invade un luogo in cui essa non era presa minimamente in considerazione.
I personaggi sono splendidamente interpretati, anche grazie ad una sceneggiatura di base molto forte e decisamente caratterizzante. La vittoria del Marc’Aurelio d’oro è meritatissima, tanto da far parlare del film già come di un’opera cult. Barco sostiene di aver girato un film punk, ed effettivamente si trova la stessa carica eversiva e dirompente del movimento dalle creste appuntite e dalle borchie metalliche. Ben vengano dei film così, capaci di spiazzare lo spettatore e di aprirgli nuove visuali, divertendo e facendo riflettere.
In uscita nelle sale italiane il 14 gennaio, con distribuzione Archibald Enterprise Film.