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Rachel Weisz, l’attrice inglese premio Oscar nel 2006 come miglior attrice non protagonista per la sua interpretazione nel film di Fernando Meirelles “The Constant Gardener – La cospirazione”, sta per tornare nelle sale italiane con un film discusso e controverso. “Agorà”, un kolossal presentato fuori concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes, ha faticato non poco per trovare un distributore nel nostro paese.
La Weisz, che presto inizierà le riprese per il film “Jackie”, in cui interpreterà la mitica Jaqueline Kennedy sotto la regia del marito Darren Aronofsky, sarà Ipazia, la matematica, astronoma e filosofa greca seguace della filosofia neo-platonica che visse e insegnò ad Alessandria d’Egitto tra il 379 e il 415 dopo Cristo, fatta a pezzi da un’orda di monaci cristiani accecati dall’odio verso la sua libertà di pensiero.
Il regista del film, Alejandro Amenabar (già molto apprezzato in Italia per i suoi film “The Others” del 2001 e “Mare dentro” del 2004) taglia corto sulle polemiche in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero, in cui dichiara di non aver voluto fare un film contro il cristianesimo, ma contro l’oscurantismo in nome di una fede religiosa, qualunque essa sia.
La figura di Ipazia, che la Weisz ha dichiarato di aver conosciuto proprio grazie allo script propostole da Amenabar, è diventata nel corso dei secoli un’icona dell’amore per la scienza e la filosofia, unica vera religione laica da difendere contro qualsiasi forma di fondamentalismo e oscurantismo. “Mi piaceva la storia, decisamente inusuale, di una donna che dedica l’intera sua vita al proprio lavoro e alle proprie convinzioni”, dichiara in un’intervista, e prosegue ricordando come si fosse stupita del fatto che, nel film, Ipazia non baciasse il suo devoto schiavo Davo nemmeno una volta: “Alejandro è stato molto duro su questo punto, e mi ha spiegato che Ipazia era una persona completamente e devotamente appassionata al proprio lavoro. Sono rimasta sorpresa di come il mio stesso sessismo sia venuto fuori”.
L’impegno nel film non è stato facile: il rischio, nei film in costume ambientati in epoca antica, è sempre quello di far assumere agli attori un tono declamatorio, un rischio scongiurato da un’attenta costruzione dei personaggi che, come spiega la stessa Weisz, “sono esseri umani che per caso vivono nel quarto secolo”. Una condizione necessaria per far assumere al film il significato che gli è proprio, quello di un messaggio universale contro la violenza in nome della religione. “In fondo”, conclude Rachel, “rispetto ad allora non è cambiato molto. Certo, abbiamo avuto scoperte mediche e progresso, ma la gente continua ad uccidersi in nome di un dio. E anche oggi le donne sono spesso considerate come cittadini di secondo livello.”