Per questo 8 marzo potreste coronare la festa della donna con una visita al Museo d’Arte Moderna di Roma: dal 19 febbraio è in mostra un’interessante esposizione rivolta alla produzione artistica femminista negli anni ’70.
L’iniziativa, ideata in collaborazione con Sammlung Verbund di Vienna, propone un nucleo di 200 opere appartenenti a 17 artiste che, a vario titolo, hanno trattato il tema del corpo, dell’identità di genere e la differenza uomo-donna.
Da segnalare una selezione dei primissimi lavori di Cindy Sherman, realizzati nel 1975-76 e ancora poco noti, nonché la presenza di artiste inedite in Italia come Birgit Jürgenssen, Renate Bertlmann, Annegret Soltau e Nil Yalter.
Tra le opere, spiccano le poeticissime fotografie di Francesca Woodman: tratte dalla collezione "Alcune disordinate geometrie interiori", queste immagini ritraggono il suo universo emotivo carico di angoscia, ma teso, al tempo stesso, verso una costante ricerca estetizzante.
Notevoli anche i lavori di Valie Export: dal 1968 l’artista austriaca si dedica al cinema espanso, lavorando con la fotografia, il video e la pellicola; in mostra un’interessante filmato dal titolo "Tapp- und Tast-Kino", che documenta una performance rivoluzionaria svolta dal ’68 al ’71 in giro per diverse città d’Europa. La Export, assume le sembianze di una televisione ed invita i passanti ad interagire con il suo corpo nudo: grazie alla mediazione dello schermo di cartone il suo corpo non può essere visto, ma solo toccato. Il gesto lascia emergere i più triviali istinti sessuali dei passanti, tracciando il ritratto nitido di una società conformista che non riesce a maturare una sessualità equilibrata e paritaria.
Nella rassegna non poteva mancare "Semiotics of the kitchen", il video-manifesto dell’arte femminista prodotto da Martha Rosler nel ’75. In questa performance l’artista illustra in maniera didascalica tutti gli oggetti che circondano la vita di una casalinga, fornendo una lista dei nomi e mimando in maniera pedissequa i gesti quotidiani della vita domestica. Ne risulta un attacco frontale e polemico contro il ruolo stereotipato e subalterno della donna.
Il centro-America è rappresentato dai lavori di Ana Mendieta, una delle prime artiste latino-americane ad essere annoverate nel panorama dell’arte statunitense. La sua è la storia di un profondo trauma infantile: all’indomani della rivoluzione castrista, la Mendieta venne sradicata e portata negli U.S.A., nell’ambito di un piano anticomunista per "salvare" i bambini cubani. In una personale sintesi tra le tendenze della Body Art e della Land Art, l’artista focalizza la sua ricerca sul recupero del rapporto con la natura e con il territorio vergine da cui è stata strappata, inserendo ed integrando nel paesaggio il proprio corpo nudo.
Tra i nomi meno noti è necessario citare Birgit Jürgenssen, la cui poetica si concentra sulla trasmutazione del corpo della donna nelle sembianze animali. L’artista si distingue per l’utilizzo dei più svariati supporti. Ogni mezzo è buono per indagare la propria vena creativa: dalla pittura alla scultura, passando per la fotografia, fino ad arrivare alle manipolazioni "rayografiche" debitrici della sperimentazione formale di Man Ray.
Queste "amazzoni dell’avanguardia" hanno portato avanti la propria ricerca estetica rimettendo continuamente in discussione il proprio ruolo e tentando di utilizzare nuovi linguaggi che contribuissero ad abbattere per sempre lo stereotipo della donna-oggetto, attraverso un incisivo processo di straniamento. In un percorso di ricerca che recupera la tradizione surrealista e concettuale, i lavori presenti in mostra fanno luce sulle tensioni nate in seno movimento femminista, svelando al tempo stesso un ulteriore tassello del complicato mosaico che raffigura i "favolosi anni ’70".
Donna. Avanguardia femminista negli anni ’70
dalla Sammlung Verbund di Vienna
Dal 19 febbraio al 16 maggio
Galleria Nazionale d’arte Moderna
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Il 6 e il 7 marzo l’ingresso per le donne è gratuito
Vedi anche:
La nostra era avanguardia