Sono mondi e modi di delicatezza squisitamente indiana quelli che compongono il mosaico geografico-culturale della pittura Rajput, protagonista di una bellissima mostra ospitata al MAO (Museo di Arte Orientale di Torino) fino al 6 giugno 2010.
Nonostante l’indubbio e controverso influsso dell’estetica Mugal (e dunque islamica), quanto ruota attorno all’universo simbolico dei Rajput ci proietta intuitivamente negli archetipi più variopinti della cultura spirituale indiana, anzi Hindu per la precisione. Con finestre aperte su terre che, da sempre e nonostante le turbolenze geopolitiche fanno sognare, come il Rajasthan, ad esempio.
Sono i “figli del re”, i Rajput – passati alla storia anche come i Samurai dell’India (leggi, a proposito, Pellicani Luciano “Storia, leggende e tradizioni dei Samurai dell’India”) con un accento che cade sulle gesta militari legate alla lotta contro l’Islam – i “cantastorie” leggiadri e virulenti che, in uno scambio felice con la tradizione religiosa hindu, diventano protagonisti di racconti mitici, letterari e poetici. E loro è la “terra dei principi”, il Rajasthan appunto, o Rajputana, Terra dei Rajput.
Il Medioevo fu il periodo di maggiore gloria per questo “popolo” di cui ancora oggi è possibile evocare il ricordo visitando le città dalle superbe architetture e, soprattutto, quanto rimane della loro arte (la pittura specialmente). Viaggiando nel Rajasthan non è difficile eventualmente riconoscere gli eredi dei Rajput; si tratta di gente che ha mantenuto nel sangue la fierezza, in portamento e statura. Segni particolari: lunghi baffi, orecchini d’oro e grandi turbanti colorati. Le donne non sono da meno, vestite con abiti dai colori sgargianti e avvolte in gioielli di argento in gran quantità.
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La pittura Rajput consta per lo più di miniature. Sono immagini vivide che, a loro volta, trasfigurano in luoghi simbolici e reali allo stesso tempo, proferendo il gergo della contraddizione che ingloba tutto e il contrario di tutto, così caratteristica dello spirito indiano.
Iniziamo così un viaggio che può condurre al cospetto di Krishna mascherato da donna mentre va a trovare la sua Radha o le pastorelle con cui la più venerata delle divinità hindu intrattiene rapporti amorosi. Scena dopo scena, si schiudono gli orizzonti patinati della geografia mistica indiana che ha il suo canovaccio sacro nel poema epico Mahabharata, la “Bibbia” degli Induisti (letteralmente “La grande storia dei figli di Bharata”) e Ramayana.
Bisogna dunque concepire salti mentali per concedersi il lusso di viaggiare nei meandri di questo territorio intriso di eroismo e spiritualità dove l’ignoto permea ogni minimo dettaglio (nella pittura Rajput così come nella vita) sotto forma di Trascendenza. Poco importa che siano guerrieri o santi, che si contrappongano scene di caccia, processioni, cerimonie religiose, pitture erotiche e gesta di divinità incarnate. Nell’unica traiettoria concepibile per la mentalità indiana, il viaggio fa danzare in un cerchio di infiniti ritorni.
Approfondimento sulla Mostra al MAO di Torino
Letture consigliate
Pellicani Luciano
Storia, leggende e tradizioni dei Samurai dell’India
Editore: Newton & Compton, Roma 1994
22,00 euro
Narayan Rasupuram K.
Il Mahabharata