Tempi oscuri sono quelli che si addensano all’orizzonte, soprattutto per il sistema lavorativo capitalistico. Fette sempre maggiori della popolazione mondiale rischiano di trovarsi nella buca delle lettere la temuta missiva di licenziamento. I diritti dei lavoratori che durante il diciannovesimo ed il ventesimo secolo erano stati ottenuti attraverso lotte operaie (anche sanguinose) stanno venendo spazzati via come se nulla fosse e metodi di controllo e di pressione sempre più subdoli emergono all’interno dei posti di lavoro.
L’ultimo lavoro di Annette Pehnt, dall’indicativo titolo di Mobbing, si occupa di scrutare questa zona grigia ed indistinta, caratterizzata dalla tristezza e dalla depressione (dalla Grande Depressione alle piccole depressioni quotidiane). L’autrice, già studiosa di letteratura celtica ed inglese, porta il lettore ad esplorare le sensazione e le conseguenze di tale pratica, con uno sguardo quasi documentaristico, ma non pedante, che predilige gli aspetti quotidiani a quelli filosofici.
Il personaggio principale del romanzo è infatti una moglie di un ex colletto bianco. Attraverso il suo punto di vista arriviamo quindi a comprendere come il mobbing sia ben più strisciante ed invasivo di quanto si possa immaginare. La sua azione non si esaurisce sul posto di lavoro, anzi, si moltiplica e si rafforza nelle relazioni extra lavorative. Così l’atmosfera casalinga e quella amicale vengono avvelenate ed esacerbate dall’ostracismo e dall’isolamento subito nel cubicolo-ufficio. La protagonista assiste alla distruzione di suo marito, che gli assilli lavorativi rendono addirittura incapace di baciarla, di aiutarla ad accudire le due figlie piccole, di stringerle la mano dopo il lungo travaglio che precede la nascita della seconda.
Seguendo la Pehnt nel suo racconto, ci si rende improvvisamente conto che prima ancora di suo marito, è la protagonista ad essere vittima del mobbing, in modo diverso però: casalingo, strisciante, accolto come un sacrificio sacro e dovuto alla famiglia. Ha abbandonato il lavoro di traduttrice, fino a confinarsi nel rassicurante e desolato isolamento domestico, dove non ha nessuno con cui confidarsi, esattamente come nell’azienda del marito. A tal proposito, l’autrice ha dichiarato in una intervista al supplemento D de La Repubblica: “Spero che il mio libro aiuti le donne ad adeguare il proprio ruolo a una società in trasformazione, profondamente diversa da quella delle nostre madri”.
Questa storia di ordinaria follia non deve però far rabbrividire o far urlare al mostro, anzi il mobbing, come ha ricordato Paolo Giordano in un articolo pubblicato sul Corriere, è una pratica naturale ed animale. Il termine fu usato per la prima volta dall’etologo Konrad Lorenz, Nobel per la medicina, riguardo al comportamento delle anatre selvatiche. Lo studioso impiegò questo vocabolo per descrivere l’aggressione di un gruppo ai danni di un altro esemplare. Un assalto collettivo, con lo scopo di spaventare e allontanare il singolo, percepito come minaccia.
Ciò non deve essere una giustificazione perché, nonostante siamo noi stessi degli animali e dobbiamo quindi rispettare tutti gli altri esseri viventi e la terra stessa, qualche differenza tra noi e le anatre selvatiche deve pur esserci.
Titolo: Mobbing
Autore: Annette Pehnt
Editore: Neri Pozza
Collana: Bloom
Prezzo: € 15,00