In paesi come Algeria, Arabia Saudita, Afghanistan, la conoscono bene. Il suo nome è sinonimo di lotta a difesa delle donne che subiscono maltrattamenti in famiglia o che sono costrette a sposarsi contro la propria volontà. Sihem Habchi vive in Francia, paese moderno e cosmopolita, dove – tuttavia – ancora troppe immigrate nella vasta comunità musulmana sono vessate nel corpo e nello spirito per motivi religiosi o legati al dominio del genere maschile. Lei stessa, nata e cresciuta in territorio francese da genitori algerini, ha ancora indosso le ustioni provocate da un ex-fidanzato per aver rifiutato di sposarlo.
Da allora Sihem non si è più fermata, trasformando quel trauma in una speranza per tutte le donne che ancora non hanno trovato, come lei, il coraggio o la possibilità di ribellarsi. Attraverso il movimento “Ni putes Ni soumises” (letteralmente “né puttane né sottomesse”), nato in Francia 5 anni fa, Sihem Habchi ha creato gruppi d’azione in tutto il mondo a sostegno dei diritti delle donne. Ma, nonostante la questione femminile nel mondo abbia recentemente riscosso qualche significativa vittoria (basti pensare alla storica elezione di un ministro donna in Arabia Saudita), in molti paesi musulmani l’associazione di cui è presidentessa solleva reazioni non proprio incoraggianti.
È il caso del Marocco, dove il movimento dal nome irriverente è stato censurato perché “non conforme all’approccio adottato dal Paese nell’affrontare le problematiche collegate alla situazione femminile”. Sono parole del ministro dell’interno Benmoussa, che bandiscono senza riserve “Ni putes Ni soumises” dal territorio nazionale. Un eufemismo che nasconde, dietro la patina di diplomazia, l’assoluta chiusura del governo nei confronti delle donne marocchine, considerate, al contrario di quanto suggerito dal movimento, ‘o puttane o sottomesse’.
Habchi torna a casa tutt’altro che sconfitta, per denunciare a gran voce l’accaduto, forte dei successi che l’associazione ha già raccolto nel giro dell’ultimo lustro. Come nel 2006, quando insieme al Presidente Chirac fondava a Parigi la “Maison de la mixitè” (letteralmente “casa della promiscuità” simbolo dell’unione di uomini e donne francesi e musulmani) o come accaduto un mese fa nell’aula di un tribunale francese che ha stabilito a 20 anni di carcere la punizione per quel partner colpevole di averle dato fuoco.