Nel panorama variegato dell’architettura internazionale, Benedetta Tagliabue è considerata tra i geni più prolifici e versatili del calderone culturale barcellonese. Di quella Spagna colorata che nel 1991, dopo una laurea all’Università Ca’ Foscari di Venezia, la accoglie e getta tra le braccia del celebre collega Enric Miralles, minimalista e decostruttivista, con cui si unisce in matrimonio e fonda lo studio “EMBT” (Enric Miralles y Benedetta Tagliabue Arquitectos Asociados). Un cervello squisitamente italiano (come denuncia il cognome che rimanda al miglior passato artistico nostrano), ma fuggito insieme alla folla di menti represse che ha svuotato del fermento più vivo e brillante un bel paese colpevole d’angustia e immobilismo.
Nel ‘teatro’ di Gaudì, la coppia di architetti colleziona da subito autorevoli commissioni internazionali, premiate da illustri riconoscimenti, come il Leone d’oro della Biennale di Venezia del 1996. Sono gli anni dei progetti del “Municipio di Utrecht” e del “Parlamento Scozzese di Edimburgo”, luoghi simbolo di un’architettura che esalta le risorse naturali del luogo e s’inserisce nel tessuto urbanistico rinnovandolo senza traumi. E di opere locali coraggiose, come il “Mercato di Santa Caterina”, in cui l’uso della ceramica colorata (cifra stilistica di Barcellona) pone la tradizione al servizio di virtuosismi formali futuristici, e la modernissima “Sede del gas Natural” che in un tripudio di specchi s’immerge senza strappi nel contesto metropolitano.
L’entusiasmo professionale di Benedetta non accenna a diminuire nemmeno quando una morte improvvisa la priva del marito, appena 45enne. Lei si getta nel lavoro, proseguendo il sogno comune di un’architettura contemporanea nella miglior accezione del termine, che sia cioè umanamente funzionale ed eco-sostenibile. Si circonda di un’equipe multiculturale (21 professionisti e 19 praticanti) accomunata dalla passione per l’arte italiana e spagnola e dal desiderio di preservarne la tradizione traghettandola verso il futuro.
L’Italia le è grata, tanto che Napoli, città nota per bellezza ed abbandono, le dedica una mostra a Castel dell’Ovo che ne ripercorre l’attività dal ’97 al 2007. Al suo interno non può mancare il progetto capitale dell’EMBT, ovvero il “Padiglione spagnolo della “World Expo” 2010” a Shanghai che celebra nel mastodontico palazzo-cesto, artigianale, concettuale ed eco-sostenibile, l’incontro tra arte spagnola e cinese. Né tanto meno quelli di “housing sostenibile”: le 120 residenze popolari nel quartiere Barajas, vicino all’aeroporto di Madrid, completamente realizzate sui principi sostenibili nei costi e nella costruzione.
E mentre l’urbe partenopea si prepara ad ospitare, per il 2011 la stazione della nuova metropolitana progettata da Tagliabue in legno e ceramica, e nostalgicamente battezzata “Miralles Tagliabue Embt”, il rapporto simbiotico tra Benedetta e la sua Italia conosce anche battute d’arresto. I lavori per la nuova sede dello LUAV (il vivaio d’architetti veneziani che ha formato Benedetta), iniziati nel ’98, languono infatti da anni a causa delle pastoie burocratiche nostrane.
Ma intanto, a 46 anni, Benedetta Tagliabue ha deciso che un nobile progetto come il suo non può fare a meno dell’impegno no-profit. A raccogliere i benefici del suo slancio pro-bono saranno i bambini intoccabili di Katmandu che avranno una scuola elementare, nuova di zecca e funzionalmente garantita, il cui low-cost, dichiara l’architetta, equivale significativamente a due porte del suo opulento Parlamento Scozzese.
Il genio di tutti
30 anni di successi spagnoli e internazionali non recidono il legame tra Benedetta Tagliabue e una realtà assetata di progresso.