Carol non è certo una bellezza. Piuttosto un ‘tipo’ di donna, noto per fascino, intelligenza, auto-ironia e intraprendenza, doti che l’hanno portata ad essere tra le matite più vivaci dell’universo di cellulosa. In effetti, a ben guardarla, pare proprio uscita dalle pagine di un fumetto. Viso ovale, incorniciato da un carré che sembra fatto col righello, espressione acuta, incastonata negli occhiali da Harry Potter, e un corpicino esile, che scompare nei tailleur, quanto nei pigiami di flanella a scacchi in cui ama riprodursi.
Sarà per questo che, per il suo ultimo libro a vignette, “The Big Skinny: How I Changed My Fattitude” (Villard), Carol Lay ha scelto se stessa per raccontare le lotte quotidiane di tutte le donne ossessionate dal peso. A guardarla oggi si direbbe la persona meno adatta, degna rappresentante di un’invidiata categoria femminile: quella delle nate magre e destinate a restare tali. Ma basta sfogliare poche pagine dell’esilarante cartoon, per capire che il personale da mannequin è invece frutto di una vita di rigore alimentare e lavorio introspettivo.
Una “divoratrice compulsiva”, così definisce la propria naturale attitudine verso il cibo. La stessa che l’ha portata ad oscillare, per tutta la giovinezza, dai 90 ai 60 chilogrammi e a sviluppare una pericolosa dipendenza per pillole ed integratori alimentari. Fino a che, alla soglia dei 50 anni, complici il successo e l’amore per la propria salute, il suo metabolismo non decide di scendere a patti con la bilancia.
Ma anche oggi che l’ago pende sempre nella metà buona, il pericolo è costantemente in agguato. Soprattutto in periodi di malumore, d’eccessi goderecci o lavorativi, quando mantenere la sana ‘tabella di marcia’ costa, in termini di tempo, davvero troppi sacrifici. Una condizione ben nota a lei, che vive a Hollywood, circondata da dee in carne ed ossa, come alla moltitudine di donne, tartassate da un modello di femmina ‘bionica’ irraggiungibile, soprattutto se alle prese con le incombenze quotidiane. Per questo, spera Lay, “Big Skinny” potrebbe essere molto utile non solo a rendere più umano e raggiungibile quel legittimo modello di magrezza. Ma anche ad invitare le donne ad indagare nel proprio passato, per scovare le ragioni di un atteggiamento alimentare ‘malato’.
Proprio come per il suo alter-ego di cellulosa, che ingrassa per nascondere le emozioni e insieme aumentare la propria visibilità. Che si rifugia nel cibo come in una droga, trovando un conforto notevole, ma mai sufficiente. Che elegge il dietologo a proprio guru, finché le soddisfazioni personali non intervengono a scansarlo, fornendogli l’equilibrio necessario a maneggiare l’unica arma in grado di restituire serenità: la temuta tabella numerica delle calorie quotidiane.