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Capitano mio capitano

Il capitano dell’Inter guida la squadra verso gli allori e alla conquista di un mondo migliore.

Javier Zanetti
LaPresse

Di fronte ai risvolti a dir poco deprimenti se non  grotteschi di Calciopoli, speriamo agli ultimi colpi di coda della giustizia ordinaria, ci si chiede se il calcio italiano, gigante troppo prolifico per crollare, possa ancora restare agganciato a qualcuno dei valori sportivi . Fortuna che dal mostro a mille teste, tra burocrati, politici, arbitri corrotti, veline e calciatori ‘senza veli’, spunta ancora, a ben spulciare l’album Panini, qualche esempio di virtù calcistica ed umana. Sospiri di sollievo per lo sport nazionale, soprattutto se l’esempio proviene dagli alti papaveri della classifica – dalle così dette “grandi” – e, soprattutto,se si tratta di capitani-uomini bandiera, come l’argentino Javier Zanetti, numero 4 dell’Inter capolista.

Nato a Buenos Aires il 10 agosto 1973 è noto per il carattere inossidabile, per lealtà, correttezza, resistenza e per essere tra i giocatori più versatili e tenaci della squadra, sia in maglia nerazzurra che in quella nazionale argentina. Capace di dare il suo contributo come difensore esterno così come in tutti i ruoli di un centrocampo di caratura mondiale, Javier incarna l’idea di giocatore modello, punto di riferimento per l’intera formazione, in campo e in allenamento,, grazie a doti tecniche e, ancor di più, carisma d’uomo.

Non importa se dalla curva o dietro allo schermo del salotto di casa, quando si parla di calcio è difficile staccare gli occhi dal prato verde, da quegli omini con quattro ombre, in grado di farci volare. Così sarà sfuggito ai più che nel caso di capitan Zanetti, si è di fronte a un vero e proprio campione di solidarietà e che nel 2005, mentre guidava la squadra verso la conquista del 14esimo scudetto, afferrava un’altrettanto meritata vittoria. Il 7 dicembre Milano gli consegnava la propria massima onorificenza: l”’Ambrogino d’oro”. Per la prima volta, la statuetta nelle mani di un calciatore, per lo più straniero, e non come eroico rappresentate di mezzo tifo cittadino, ma come uomo distintosi per impegno sociale.

Un evento che, sebbene in tempi non sospetti (alla vigilia dello scandalo del 2006), passa inosservato, coperto dalle grida assordanti dei goal. Il premio va ad aggiungersi ai numerosi già collezionati da Javier e dalla moglie Paula (tra cui il “Protocollo dela Plata”, l’“Ambasciatore sociale”, l’“Olimpia” ed il “Mercurio”) meritevoli di aver fondato l’”Associazione Pupi”. Dedicata all’infanzia di una delle regioni più povere dell’Argentina, i coniugi Zanetti (che si trascinano anche l’intera società nerazzurra e un folto gruppo di sostenitori) promuovo adozioni a distanza, programmi di sviluppo, educazione, istruzione, divertimento e, naturalmente… tanto buon calcio.

Così lo spirito combattente e al tempo pacifico dimostrato in campo si ritrova moltiplicato quando la posta in gioco, invece di una coppa, è il sorriso di un bambino sfortunato, uno spiraglio sul suo futuro. Ma il trasporto di Javier per i popoli oppressi non finisce tra i patri confini, bensì si estende al resto d’America Latina che ancora oggi paga lo scotto della colonizzazione. Il suo amore, fa sapere nel 2007, va soprattutto al Messico meridionale tanto povero quanto orgoglioso che affida le proprie speranze alla stella rossa dell’EZNL, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Clandestino ma quasi mai violento (nonostante il passato d’angherie subito dai Maya da cui il movimento discende in gran parte) continua la battaglia per l’affermazione dei diritti delle popolazioni native e simpatizza per il movimento no-global ed anticapitalista.

Tra i più ferventi sostenitori, appunto, Zanetti, che stringe amicizia con il sub comandante Marcos. Si susseguono le dimostrazioni di stima reciproca tra la squadra di Moratti ed il leader zapatista che dedica loro una favola via radio e li sfida a calcio. Il numero 4 organizza la trasferta, mentre Bruno Bartolozzi, dirigente Inter, vola in Chiapas per consegnare alla piccola democrazia 5mila dollari (frutto delle multe pagate dai giocatori), uno stock di palloni da calcio e un’ambulanza. “Il calcio”, dichiara, “è come la lotta di resistenza – pieno di sorprese… Qualche volta il piccolo può vincere contro il grande”. E se l’Inter-capolista certo piccola non si può definire, in caso di scudetto il pensiero di un Sud del mondo esultante in maglia nerazzurra si aggiungerebbe alla gioia dei premiati dal campionato, consolandone i delusi.

Per informazioni: http://www.fundacionpupi.org/v.2003ita/colaborar.html