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Divina Bettie

Vecchi e giovani fan salutano Bettie Page, l’angelo nero che ha insegnato agli uomini a “sognare”… con stile.

Bettie Page

In pochi giorni le sue immagini sono rimbalzate da un portale all’altro, dalle pagine dei quotidiani, alle vetrine delle librerie, per annunciare al mondo la fine di una vita divisa a metà. Ma a guardarli bene, i suoi primi 37 anni non sembrano poi così diversi da quelli trascorsi fino alla morte, che l’ha raggiunta a Los Angeles il 12 dicembre, ormai ultra-ottuagenaria.

In fondo Bettie la sua vita, in un modo o nell’altro, l’ha passata tessendo scampoli di felicità a chi scegliesse di proiettare su di lei sogni, speranze, desideri. Ed oggi, di fronte ad un immaginario erotico guastato da scenari impronunciabili, non possiamo che essere tutti suoi fan. Poco importa se della pin up che scandalizzava la società dei ‘50 con un sex appeal d’avanguardia o della Page post ‘60, che si rifugiava nella Bibbia per redimere i suoi peccati. Di lei non c’è che da ammirare l’indiscutibile “generosità”.

Nata nella variopinta Nashville (Tennessee) nel 1923, cresce sognando la scena hollywoodiana. Per raggiungerla lavora come segretaria in un ufficio di Manhattan mentre studia recitazione e muove i primi passi da modella, deviando il suo percorso sui palcoscenici dell’avanspettacolo. È sullo sfondo del burlesque che monta sui primi tacchi a spillo ed impara ad esaltare le forme perfette, strizzandosi nei reggipetto in lattex e nei bikini animalier.

In men che non si dica è già personaggio e con un nome così non ha certo bisogno d’inventarne altri. È il 1950 e “Bettie Page” diventa simbolo di un sex-appeal venato d’esotismo, un nome da bambola per un cognome che rimanda alla sua icona di cellulosa, attaccata dal barbiere e negli abitacoli dei camion, riprodotta sulle carte da gioco e presto stampata sulle copertine di “Playboy”. Ma prima ancora di accorgersene, e che una storia più recente la riabilitasse come pioniera di una cultura del sesso mai volgare, il suo sogno è sfumato. Lei, della sua Hollywood, non sarebbe stata che uno scarto, un riflesso di serie B. E così per decenni, dopo che, pentita, Bettie si lascia alle spalle una vita giudicata vergognosa.

Nel ‘58 sfila le calze a rete, poggia il rossetto, il frustino, gli accessori bondage – ironici e innocenti come un gioco – dimentica l’imitatissima frangetta e, trasferitasi in Florida, prende servizio alla Temple Batist Church di Key West. Ma il passato la perseguita, impedendole di realizzare anche il sogno della maturità: diventare missionaria in Africa. I due divorzi, avvenuti dopo le brevi esperienze matrimoniali con il compagno di scuola Billy Neal ed Armand Walterson, le sbarrano nuovamente la strada.

Il resto è noto a tutti, grazie all’attenzione che dagli ‘80 restituisce visibilità alla sua icona mai dimenticata. E mentre la trama s’infittisce, intrecciandosi ai ricoveri in ciniche psichiatriche e alle diagnosi impietose sbandierate dai giornali, il suo mito torna in auge con la serie di fumetti e pubblicazioni culminata nel 1987 con un fanzine a lei dedicato (“The Bettie pages”).

Nel ‘90 la Dark Comics produce un fumetto ispirato alla sua vita, subito imitata dalla Eros Comics, mentre i media distribuiscono reportage sul personaggio. Non mancano i film e le pièce teatrali dedicati all’angelo nero, per non parlare delle innumerevoli “Lolite” neogotiche che da lei traggono ispirazione, da Madonna a Dita von Teese, da Benne Dexter a Nina Elizabeth Page. Donne diverse, con carisma e destini diversi, ma accomunate dal tentativo di vivere sensualità e bellezza come virtù da esaltare, senza mai scivolare in volgarità o sfumature pornografiche.

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