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Schizofrenica Anne

Dopo una collezione di ruoli da fiaba, finalmente sugli schermi una Anne Hathaway “maledetta”. Ma sul futuro già s’intravedono ombre rosa.

Anne Hathaway
@LaPresse/AP

Dal giorno in cui fa innamorare tutto il mondo, nei panni – prima dozzinali e poi super griffati – di segretaria rampante (“Il diavolo veste Prada”, 2006), Anne Hathaway non è più scesa dalla cresta di un’onda davvero anomala. Si accumulano scritture da parte di registi famosi, che ne sfruttano l’alone di brava ragazza, tra le poche ancora in grado di arrossire. Qualcuno azzarda paragoni che la vedono riassumere in sé la solarità di Judy Garland, la classe d’Audrey Hepburn ed il sorriso di Julia Roberts. Mentre Lancome la sceglie come sua nuova musa, paragonandola in fascino e seduzione alle più mature Kate Winslet ed Huma Turman, già testimonial del brand.

Nata nella culla alto-borghese di New York, la Brooklyn dei professionisti, figlia di un avvocato (Gerald) e dell’attrice Kate McCauley, cresce insieme a due fratelli secondo i dettami del cattolicesimo. Molto attaccata alla religione, tanto da coltivare il sogno di prendere i voti, lo è ancor di più alla famiglia: una volta scoperta l’omosessualità di Michael, abbandona la Madre Chiesa per solidarietà al fratello maggiore. I primi ruoli della giovane Anne, in commedie disneyane come “Pretty Princess” e “Principe azzurro cercasi” (Garry Marshall, 2001 e 2004), le conquistano l’amore delle più giovani, come anche il successivo “Magico mondo di Ella” (Tommy O’Haver, 2004) che non l’allontana dalla figura fiabesca di Cenerentola contemporanea.

Il suo curriculum non lascia dubbi: siamo di fronte ad una “fidanzatina d’America” con tutte le carte in regola. O, almeno, così sembra fino a questo punto. Infatti, prima ancora che “il diavolo” la rendesse famosa, la dolce Anne già si lanciava in un ruolo border line, Alison, protagonista dalla dubbia moralità della pellicola “Havoc” (Barbara Kopple, 2005), in cui appariva senza veli in tutta la sua “burrosità”. Una parentesi destinata a restare tale? A giudicare dal suo ultimo “Rachel getting married”, in uscita nelle sale venerdì 5 novembre, sembrerebbe proprio di no. Sì perché a sposarsi, per una volta, non è lei ma la sorella del personaggio Kim, interpretato da Anne. Una ragazza dal carisma irresistibile quanto maledetto, tossicomane, dedita al sesso occasionale, persino nel giorno delle nozze di Rachel e talmente egocentrica da trasformare il suo giorno più felice, in un pubblico mea-culpa.

Che vi piaccia o no, questa nuova Hathaway, diretta da Jonhatan Demme e sceneggiata da Jenny Lumet (figlia di Sydney), sembra aver convinto più che nei ruoli precedenti. Almeno stando all’entusiasmo riscosso al Lido di Venezia e al mormorare che, in ambiente hollywoodiano, già la vede impugnare l’ambita statuetta. Ma se d’evoluzione può parlarsi, dopo il ruolo intermedio accanto a una Streep firmata Prada, c’è da sperare che i progetti in corso non la restituiscano alla dimensione ovattata ma poco stimolante da “commedia del rimatrimonio”.

All’orizzonte spuntano, infatti, altre tre parti che le somigliano forse un po’ troppo. Si tratta di “Bride wars” (“La guerra delle spose”, Gary Winick), “Alice nel paese delle meraviglie” (Tim Burton) e “The fiance” (“La promessa sposa”, Burr Steers). Titoli che lasciano ben poco all’immaginazione. A quanto pare, per Anne, la favola non è finita, anzi, può dirsi appena cominciata. E, in fondo, perché no? Dopotutto ha solo 26 anni…