A guardare Elizabeth si resta impressionati dalla somiglianza con i ritratti che dipinge: androgini, schivi, assorti nei pensieri, proprio come lei, diffidente con la stampa e con chiunque voglia affibbiarle etichette che non le appartengono. E vista la fama conquistata nei 15 anni di folta attività, di definizioni irritanti ne ha collezionate non poche. Una su tutte: che sia il pennello delle celebrità, per essersi dedicata a personaggi del mondo dell’arte, del cinema e della musica, appartenenti ad un universo – per così dire – “privilegiato”.
In effetti, basta sfogliare il catalogo di “Live forever: Elizabeth Peyton”, per scorgervi Sid Vicious, Keith Richard, David Bowie, John Lennon, Kurt Cobain, Eminem, Marc Jacobs, ed altri, tra le 100 opere esposte fino all’11 gennaio al New Museum di New York. Ma ciò che è vero in apparenza potrebbe sembrare falso ad un occhio sensibile che si accosti ai suoi quadri con una prospettiva più profonda.
Uno sguardo, e si accorgerebbe che tra i colleghi di New York e gli eroi della cultura pop di fine ‘900 spuntano gatti, cani, piante, reperti di una realtà solo apparentemente anonima. E se i primi sono amici di cui l’artista conosce i mondi interiori, gli altri vengono riprodotti come star, consapevoli del proprio ruolo e di un’irresistibile bellezza. Tutti parte di un’età d’oro appena tramontata, il cui attributo pop ha un sapore decadente, foriero di un nuovo romanticismo.
Figure stanche, pensierose, le cui occhiaie profonde raccontano storie di droga, alcol e notti fumose, ma anche d’arte, forza e cultura. Tutti portatori di un fascino maledetto che ora ripiega verso l’interno, in uno spazio intimo dove “segretamente” incontra il pennello dell’artista. Non importa se nel suo studio dal vero, se per mezzo d’istantanee o della sua formidabile memoria, saranno sempre il ritratto della sua mente.
Proiezioni di una comune esperienza, di una boheme che si riconosce nella diversità, vissuta come valore. Quella di Elizabeth, che dall’ambiente medio borghese del natio Connecticut, la spinge a trasferirsi a New York, crocevia di talenti in fermento, dove tutto è più simile a lei. Ma anche quella dei maestri contemporanei, appartenenti ad una generazione passata, che ancora vibra in lei, come inesauribile fonte d’ispirazione.