Un tempo le dive erano bellissime, oggi sembrano scese da Marte. Non c’è traccia di ruga sulla pelle patinata e senza pori. I corpi sembrano disegnati dalla matita di un dio ed il colore di occhi e capelli brilla di luce soprannaturale. Le loro foto non lasciano dubbi: la perfezione esiste eccome, se non fosse per le immagini rubate dai paparazzi. Quelle che, non senza consolazione, ricordano alle donne in “carne e ossa”, che dietro alle proiezioni di queste dee di cellulosa, lavorano i maghi di “Photoshop”.
Uno su tutti, strapagato e ricercato dai più celebri fotografi viventi (da Annie Leibovitz a Steven Meisel), Pascal Dangin, sovrano indiscusso dell’estetica virtuale. A guardarlo il re del pixel, nato in Corsica (Bonifacio) nel 1963, sembra la negazione vivente del suo lavoro: grassottello, trasandato nell’aspetto e nel vestire, Dangin non può certo definirsi un Adone. Ma la sua folta e riccia capigliatura nasconde un genio che, associato all’abilità delle sue mani, trasforma una delle tendenze più ingannevoli dell’epoca, in vera e propria arte virtuale.
Non c’è diva, rockstar o modella che non si affidi ai suoi virtuosismi digitali: Madonna, Jennifer Lopez, Jennifer Aniston, soltanto per citarne alcune. Senza contare l’intera generazione di top, da Naomi Campbell a Linda Evangelista, passando per Christy Turlington, che segnarono i suoi primi passi nel mondo della bellezza da copertina. Certo, nel loro caso, il compito di un Pascal appena approdato a New York, risultava ancora semplice, alle prese con quei corpi scolpiti per natura. Era il 1989 e nel bagaglio di Dangin c’erano solo gli anni d’apprendistato per un coiffeur parigino, che gli aveva insegnato l’equilibrio di volti e capelli ed infuso un intuito particolare per la vanità femminile. E la grande mela, all’apice del suo fermento modaiolo, offriva già numerose opportunità alla sua passione per forme, volumi e colori.
Inizia come stylist di successo, studia fotografia ispirandosi a Man Ray e prende confidenza con i primi, rudimentali softwar di grafica tridimensionale. In pochi anni, di pari passo con lo sviluppo delle tecniche virtuali, diventa imperatore di “Photoshop”, grazie ad una personalissima visione del proprio lavoro che lo distingue da qualsiasi altro buon artigiano del settore. Pascal non si limita a correggere lì dove i rotocalchi disegnerebbero un bel cerchio rosso. E mentre i suoi colleghi riempiono seni e glutei, cancellano bucce d’arancio e capillari a dispetto d’ogni verosimiglianza, lui crea una nuova estetica, che unisce il trucco al rispetto per il soggetto nella sua uniformità. Così come facevano i pastelli dei fotografi negli anni venti e ancor prima i pennelli dei pittori naturalisti che riproducevano la realtà reinterpretandola secondo la volontà dei committenti.
Ma nonostante sia unico nel suo genere, le sue ambizioni vanno oltre la dimensione pubblicitaria, in cui è costretto ad operare in completa segretezza (eccezion fatta per la campagna “Dove” 2007 in cui, lasciandosi scappare i suoi interventi miracolosi, sollevava il pandemonio sulla “Bellezza al naturale” delle protagoniste). La post-produzione cinematografica, per cui sta per aprire uno studio a Los Angeles, e la fotografia sono i campi che forse riusciranno a strapparlo dalle copertine costringendo dive e pop-star a cercarsi un altro chirurgo virtuale. Il cammino è già spianato, lo dimostra la sua vasta attività parallela. Cura libri fotografici, tra cui l’ultimo della Leibovitz e adora stampare. Non ultimi gli scatti della mostra di Patrick Demarchelier, allestita al Petit Palais di Parigi lo scorso 30 settembre.