C’era da aspettarselo, dopo solo 7 giorni dall’uscita nelle sale, “Mamma mia!” è già un successo irresistibile. Quasi scontato, come sempre, quando a trainare lo spettacolo è lei, the favorite of the world, la simpatica e accattivante Meryl Streep. Che sia una diva è un fatto inopinabile, visto il record di nomination all’Oscar (ben 14) e l’amore di un pubblico pronto ad esplodere ad ogni sua apparizione, parola, sospiro. Per non parlare di quella risata trascinante, che rimanda piuttosto al suo essere antidiva, all’auto-ironia che ne esalta gli aspetti umani conquistandole la venerazione del mondo.
Una garanzia per chi la sceglie come eroina, non solo per le doti tecniche acquisite con Stella Adler all’Actor’s Studio ma, soprattutto, per la capacità di dosare spessore e leggerezza in ogni ruolo. Da “La morte ti fa bella” (Robert Zemeckis, ’92), a “La stanza di Marvin” (Jerry Zaks, ‘96), da “The Hours” (Stephen Daldry, ‘02) a “Radio America” (Robert Altman, ’06), passando per “Kramer contro Kramer” (Robert Benton, ‘79) e “La scelta di Sophie” (Alan J. Pakula, ‘82), che le valgono la statuetta più ambita di Hollywood. Ma anche in quelle occasioni il suo spirito resta immutato. Nonostante l’emozione, e qualche lacrima, alterna battute e ‘toccatine’ ai tanti ringraziamenti, mai troppo enfatici, per poi dileguarsi tra applausi scroscianti e standing ovation.
Come quando, alla consegna del “Golden globe” per l’interpretazione di Miranda Priestly ne “Il diavolo veste Prada” (David Frankel ’06), saluta la platea con un algido “That’s all”, lo stesso con cui ‘congeda’ le proprie assistenti nel film. Un ruolo chiave, in una Hollywood accusata di non avere abbastanza spazio per le 50enni, e per cui confessa di aver ‘rubato’ da Clint Eastwood, quella voce volutamente monocorde, quasi un sussurro, capace d’intimidire più di qualsiasi urlo. E se quel film, ben fatto ma leggero, diventava strepitoso grazie a lei, un musical ‘rischioso’ come “Mamma mia” – su un fenomeno musicale attempato e un po’ kitsch – parte già con notevole vantaggio.
Sarà per la gioia con cui affronta questa “sfida fisica ed emozionale”, o per la forza derivata da una vita ‘perfetta’ (a casa ha 4 figli ed un adorabile marito, lo scultore Dom Gummer, sposato nel ‘78), che Meryl risulta perfettamente credibile nel ruolo di Donna (la “Mamma” degli Abba), nonostante i 20 anni che la dividono dal personaggio. “Niente palestra”, afferma orgogliosa, “sono una pigrona”. Solo tanta energia che la spinge a sopportare ore ed ore di sfiancanti allenamenti e che la butta giù dal letto quando “non si regge sulle ginocchia”.
Senza contare i tre fusti Pierce Brosnan, Colin Firth e Stellan Skarsgard che pure devono averle dato una certa carica, fatto sta che Pierce (l’ex-amante Sam) è pronto a giurare che la Streep “bacia davvero bene”. Buona baciatrice, ma anche ottima cantante e ballerina, aggiungono i critici mentre sgambetta nella splendida cornice greca in una mise anni 70. Perché no? Tanto a Merlyn tutto è concesso, come dimostra una carriera che non conosce fallimento.
E mentre si gode il riflesso della sua ultima ‘fatica’, lavora ai ruoli d’altre due ‘madri’. La superiora di un convento (nella pellicola “Doubt” di John Patrick Shanley), che potrebbe spingerla per la terza volta sulle scale dorate degli “Accademy Awards”, e la protagonista del capolavoro brechtiano sulla guerra dei Trent’anni. Per il back stage di “Madre coraggio” salirà sul palcoscenico di Central Park, dove farà sapere al mondo che girare film di puro intrattenimento, come quello che sfonda i botteghini in questi giorni, non significa dimenticarsi dell’odio verso ogni guerra.