Dopo
il successo riscosso negli USA, la personale di Annie Leibovitz, arriva anche a Parigi (fino al 14 settembre) per
poi spostarsi alla National Gallery di Londra. 200 scatti ne ripercorrono 15
anni di vita e carriera: quelli storici che lanciarono la fotografa sulle
copertine di “Rolling Stones”, “Vanity Fair” e “Vogue”, e quelli intimamente
crudeli intrecciati alla sua autobiografia.
Nata
a Waterbury, nel Connecticut, il 2 ottobre 1949,
Annie cresce nel rigore di una famiglia d’origine ebraica. Una vita trascorsa
al servizio dell’immagine, dalle pagine delle riviste più famose del mondo, ai
reportage di viaggio, dai ritratti delle star più luminose d’America a quelli
dei potenti del pianeta, senza dimenticare la passione per la natura
incontaminata. Ma soprattutto, ed è quel che lascia basiti pubblico e stampa,
le foto private legate alla sfera famigliare, in cui Annie squarcia il velo
della sua nota invulnerabilità. Esibisce la madre, indagata con sofferenza fin
nelle pieghe della vecchiaia ed il suo autoritario papà, consumato dalla
malattia. Corpi straziati, volti senza sorriso, come tutti quelli che portano
la sua firma. Ad eccezione delle figlie, Sarah,
avuta a 51 anni, e le gemelle Susan
e Samuelle, nate 3 anni dopo. Per
loro sorride, lascia entrare un raggio mostrandone il candore senza veli.
Infine c’è lei, Susan
Sontang, suo alter ego letterario
e compagna nella vita, di cui documenta l’agonia dell’ultimo viaggio fino alla
morte, avvenuta nel 2004. Anche qui, proprio dove fa più male, rinuncia a
qualsiasi filtro, offrendo il cuore e tutte le sue lacrime alla pubblica vista.
Un percorso visivo che ha per Annie una funzione catartica: liberarsi dal peso
del lutto.
numerosi visitatori, attratti dalla fama di quella che è considerata tra le
fotografe più impietose del panorama contemporaneo, additano entusiasti le
immagini che hanno fatto storia. Riconosco il pancione di Demy Moore, il nudo di John
Lennon tra le braccia di Yoko Ono
la mattina precedente alla morte del cantante, il corpo di Christo (l’artista che impacchetta le montagne) imballato dalla
testa ai piedi e la sagoma grottesca di Bush
J, ritratto con ironica solennità. Ma giunti alle immagini private, esposte
senza tabù e grondanti di sentimento, tacciono commossi per quella che la
stessa Leibovitz ha definito una sfiancante “impresa emotiva”.