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Arti in rivolta

Si apre la 16esima edizione della Biennale di Sydney. L’evento include 180 artisti che danno vita a performance, dibattiti, arte. A dimostrare che l’Australia non è solo onde, anche 15 italiani.

Giuseppe Penone

Il vento avanguardista che ha invaso la capitale del surf dal 18 giugno ed ha portato 180 artisti da 45 paesi ad esporre le proprie opere, durerà fino al 7 settembre. Dislocata in sette luoghi, tra cui Opera House, Cockatoo Island (l’isola nella baia che ospita le prigioni patrimonio mondiale dell’umanità) e Royal Botanic Garden, l’esposizione presenta un doppio fil rouge. Quello politico, che rimanda all’universo contemporaneo indagato con senso critico, e quello autoreferenziale, dell’arte che riflette su se stessa, istanza autonoma che si evolve conservando strumenti propri. 2 rivoluzioni che scuotono la città e prendono vita attraverso pittura, scultura, fotografia, happening.

Dall’avanguardia primo-novecentesca a quella attuale, rappresentata da 50 opere create in esclusiva per l’evento. Dalla follia dei pionieri Duchamp, Rodchenko e Malevich, fino ai maestri attuali, come William Kentridge, Janet Cardiff, Gerge Bures Miller o l’australiana Tracey Moffat. Mentre il contributo nostrano ha il nome di 15 artisti tra cui spiccano i noti Luciano Fabbro, Jannis Kounellis, Piero Manzoni, Mario e Marisa Merz, Michelangelo Pistoletto e Luigi Russolo. Particolare attenzione è stata attirata dalle opere di Giuseppe Penone, che ha istallato nel polmone verde della city un albero di bronzo alto 9 metri, e di Maurizio Cattelan che ha attaccato un cavallo imbalsamato al soffitto del Museo di Arte Contemporanea. Ma anche Lara Favaretto che con ammiccante ironia utilizza bombole d’ossigeno per dar vita ad una grottesca battaglia militare, battezzando l’allegro plotone “Macchine del divertimento”.

Forme in rivolta – come spiega alla stampa italiana Carolyn Christov Bakargiev, direttrice artistica della biennale intitolata appunto “Revolution forms that turn” – “Una costellazione d’artisti, scrittori, pensatori e interpreti che rappresentano una qualche forma di rivoluzione nei loro lavori”. Uno sforzo comune, dove “rivoluzione” sta per ribellione al sistema politico, e “forme in cambiamento” sta per isolamento dell’oggetto artistico.

Particolarmente controversa, la voce dell’australiano Mike Parr, che in un video realizzato negli anni ‘70 mostra un pollo che viene decapitato. Subito denunciato dall’ente protezione animali, è una delle opere di “Mirror/Arse” (Specchio/Culo) che comprende anche proiezioni in cui l’artista si autoinfligge tagli e bruciature. L’intento, scioccare lo spettatore, mettendolo davanti a situazioni disgustose o spiazzanti. Gli fa eco l’argentino Leon Ferrari con l’opera “Western Christian Civilization”, realizzata durante la guerra in Vietnam e censurata in patria, che rappresenta un crocifisso sulle ali di un aereo da guerra americano.

Ma nonostante le polemiche, la Biennale riscuote un successo che dimostra quanto l’Australia sia ormai entrata a pieno titolo nel dibattito artistico internazionale. Prendendo le distanze da chi la vorrebbe semplice rappresentante di una cultura “da spiaggia”, si dimostra culla di un fermento vitale dalle cui tematiche non è più così isolata.

Per info: www.bos2008.com

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