Il primo disco risale al 1990, con la formazione Onda Rossa Posse, lavoro che ha fatto conoscere il gruppo in tutta Italia, apprezzato per i testi impegnati e melodie mai scontate. I tre lavori che attraversano gli anni ’90, Terra di nessuno (1992), Conflitto (1996) e Banditi (1999), sono considerati da pubblico e critica tre capisaldi del rap italiano, mentre negli anni si sono susseguiti continui cambi di formazione della band (hanno collaborato al progetto Castro X, Brutopop, Lou X, Sioux, LatLaO e tanti altri) e numerose collaborazioni internazionali. Tra febbraio e aprile di quest’anno è stato registrato e mixato a Torino, presso Casasonica di Max Casacci, il nuovo cd dal titolo “Un’intesa perfetta” e alcuni brani sono già in ascolto e download sul sito della band. Abbiamo incontrato Militant A, da anni sulla scena rap underground nostrana, voce e ‘poeta militante’ di Assalti, ora padre e con all’attivo due libri, “Storie di assalti frontali’’ e “Il viaggio della parola’’, entrambi editi da DeriveApprodi.
‘In alto il jolly roger’, come mai la scelta di questo simbolo per la copertina del nuovo disco e quale ‘Intesa perfetta’ suggella?
“Il jolly roger è la bandiera dei senza bandiera, è il vessillo che alzavano i pirati, gente che non riconosceva autorità né poteri di nessuno, gente che aveva un’organizzazione interna di totale democrazia e anarchia, c’era solo un capo in caso di battaglia, insomma, nella rovina e perdita di senso di molti simboli, ci piaceva l’idea di ritirare fuori il teschio. Indica una volontà di arrembaggio, è un segno di non arrendevolezza. E’ vero che è un pò abusato e commercializzato, ma il nostro è più cattivo, è in tre dimensioni, sembra vero, non è per niente rassicurante e divertente. L’intesa perfetta di cui si parla è quella che si vive proprio in momenti di lotta, momenti magici che creano una comunità. In questo mondo crudele e che porta alla solitudine, per noi ci sono tanti momenti di intesa perfetta”.
Nei tuoi testi racconti storie di vita e di lotta che hanno radice nella realtà dei centri sociali. Qual’è oggi il valore di queste esperienze per il tuo percorso personale e per gli Assalti?
“I centri sociali sono la nostra “casa”, sono cambiati molto da quando li occupammo, eppure torniamo sempre lì perché ci sentiamo nel nostro ambiente naturale, puoi fare concerti senza che la gente paga chissà quanto per vederti e in totale libertà artistica, c’è un contatto diretto con il nuovo movimento che cresce. I centri sociali fanno parte della nostra mappa della libertà, quando giriamo per i concerti è come se l’aggiornassimo di continuo”.
Come nasce il brano ‘Giù le lame’?
“Nasce dopo l’assassinio di Renato Biagietti sul litorale romano. Io ero su una spiaggia vicina in quei giorni e come tutti sono rimasto sconvolto da quei fatti. E’ possibile che si muoia in questo modo a Roma? E’ possibile anche che due ragazzi ventenni siano disposti a uccidere un loro coetaneo in quel modo assurdo? Ma cosa hanno in testa? In che ambiente culturale sono cresciuti? Di che si nutre il loro immaginario? Non è una canzone su Renato perché lui meriterebbe un testo d’amore per la vita, è un grido di rabbia per un fascismo sociale che si respira a Roma e nel nostro paese e che viene legittimato da chi ha il potere. Pensare che le insicurezze e le paure si risolvano cacciando i nomadi è ispirarsi ai manuali di psicologia nazista. E oggi noi viviamo questa dimensione. Ho pensato che un testo sulle lame e su cosa significhi essere forti e coraggiosi fosse importante nel nuovo disco di Assalti. La forza non è solo sopraffare gli altri, il vero coraggio è saper entrare in contatto con il diverso”.
Rispetto agli anni in cui sono nati gli Assalti, quel fermento culturale che li animava, come vivete il presente?
“Per noi fare dischi ormai è un destino che ci piace e che perseguiamo. Prima tutte le persone che avevamo intorno lo facevano, piano piano abbiamo visto nuova gente entrare e tanti uscire nella scena musicale. Il fatto che noi ci siamo ancora delle volte ci stupisce. Siamo ormai un’esperienza unica per il contesto in cui siamo nati, fine anni ’80, anni in cui il rap e il reggae erano talmente nuovi che lo stile non era molto importante e ci sentivamo tutti nella stessa banda. Ora è molto diverso e se non hai uno stile rigoroso vieni spazzato via, ma noi abbiamo il nostro stile, quello di “Assalti” e siamo senza tempo”.
Quali sono i muri fisici e culturali da abbattere, ‘da Roma all’universo’, per costruire ‘Mappe della libertà?
“Le “Mappe della libertà” sono punti tracciati da esseri umani che si ribellano e che costruiscono luoghi dove puoi prendere ossigeno. Per molti la libertà oggi equivale a subire più controllo, pazzesco! E’ questo che ci vogliono far credere, più vi controlliamo più sarete liberi. Citiamo Aldo Bianzino nel testo perché mentre tutti si affannavano a parlare di sicurezza, questo falegname padre di due figli veniva prelevato dalla sua casa per trenta piantine d’erba e ucciso in galera da due guardie penitenziarie perché era strano e magari portava dei sandali africani. E quasi nessuno ha detto niente! E c’era Prodi al governo, non era neanche un anno fa. Credo che ognuno dovrebbe avere la propria mappa della libertà e stare attenti”.
Sulle mappa del mondo, dove porteresti un concerto di Assalti?
“Vorrei avere tutte le lingue del mondo per potermi esprimere ovunque”.
Dal vostro Myspace è possible scaricare alcune tracce del nuovo album: due parole sul copyright?
“Chi ci sostiene comprando il nostro cd orignale è un fratello o una sorella ma siamo per la diffusione più libera delle idee e della musica. Pensiamo che così ci sia un ritorno anche più grande in termini di partecipazione e di coinvolgimento ed è questa la prima cosa a cui puntiamo”.
Nei tuoi progetti futuri c’è la musica e…
“Vorrei scrivere un altro libro, la continuazione di “Storie di assalti frontali” che ho scritto nel ’97 e ancora è molto richiesto ai banchetti di Assalti. Chissà se trovo il tempo di farlo… “