Dopo aver raccontato come bambini vessati dallo Stato diventano piccoli criminali, con il documentario “Bus 174” (2002), José Padilha (18 ottobre 1970) svela un altro aspetto violento della società brasiliana attraverso i frame di “Tropa de Elite”. La pellicola, che sbanca i botteghini in patria e trionfa al Festival di Berlino lo scorso febbraio, nasce da un progetto documentaristico, fallito a causa del suo contenuto esplosivo. La lotta spietata tra i poliziotti corrotti e gli spacciatori che popolano le favelas di Rio e San Paolo. Così, nei 3 anni spesi a raccogliere materiale, piuttosto che scontrasi con poliziotti omertosi, si rivolge ai meninos de rua che testimoniano, dall’interno, la realtà impronunciabile delle favelas.
Ma il punto focale del film, quello che costa al regista minacce, interferenze, ‘ispezioni’ sul set, è la prospettiva utilizzata per restituire quello scorcio d’inferno. Prima di arrivare sulla strada, José passa dai quartieri alti, dai night club esclusivi, in due parole, dalla borghesia locale, responsabile insieme allo Stato, della violenza sociale. Sono loro i primi consumatori di cocaina, i responsabili del narcotraffico che in Brasile coinvolge circa il 20% della popolazione. Loro che pagano i poliziotti, rendendoli più corrotti di quanto già non siano per stipendi da fame ed istruzione elementare. E che manovrano il filo invisibile di un meccanismo le cui regole non lasciano scampo. È un fatto. Un poliziotto che non si lascia incastrare dall’ingranaggio, in Brasile, è un uomo morto.
È qui la carica dissacratrice del capolavoro di Padilha che getta l’onta sullo Stato indifferente, primo colpevole della piramide di crimine e violenza del paese. Affermazione pericolosa, affatto scontata per un mondo che associa Rio de Janeiro ad una generica idea di ‘pericolosità’. Ma José attira l’attenzione, fa domandare il perché e dà una risposta, chiara, scioccante, inaccettabile. E così, oltre ai riconoscimenti, arrivano i nemici, minacciati da un film che ha rotto un tabù e lo ha fatto per bocca di un poliziotto, il capitano Nascimento, l’io narrante di “Tropa de Elite”.
Una pellicola miracolo che, nonostante le minacce d’arresto delle forze dell’ordine che vogliono i nomi degli informatori su cui si va costruendo lo script, raggiunge le sale. Grazie a un giudice “buono” che ha deciso che quel film ‘deve’ uscire, grazie alla stampa e grazie al sostegno di un Governatore illuminato.
Così, dopo aver conquistato il pubblico brasiliano che acclama Padilha e lo tratta da eroe quando lo ferma per strada, “Tropa” arriva anche in Italia (6 giugno) con il sottotitolo “Gli squadroni della morte”. Soddisferà le attese degli spettatori che a migliaia per mesi hanno setacciato la blogosfera in cerca della sua copia pirata? Non ci vorrà molto a scoprirlo ma, di certo, ha già creato grande scalpore, riaprendo l’annosa polemica sulla questione della violenza al cinema.