Si apre il sipario della 61esima edizione del Festival del cinema francese, ma sotto i riflettori, sul tappeto rosso della croisette, dove il 18 maggio sfila il cast di “Gomorra” (Matteo Garrone 2008), Lui non c’è. Per motivi di sicurezza, date le minacce che dal successo del romanzo-inchiesta – da cui il film è tratto – gli impongono la scorta. Ma soprattutto, viene da pensare, per rispetto di un ruolo che non ha bisogno di essere esibito. Un anti-divo Roberto Saviano (Napoli,1979), scrittore coraggioso, dal piglio solido, pacato e dallo sguardo velato dall’alone pesante della coscienza.
Un dolore generato dai 6 anni spesi a dipanare la matassa della criminalità organizzata, a cui la sua terra continua a versare un contributo di sangue, mentre accumula sporcizia e depressione. Per questo, fa sapere, è valsa la pena di aver perso, a soli 26 anni, la propria libertà e quella di chi paga con lui il prezzo dell’isolamento e della paura. Paura, si fa per dire, dato che lui continuerà a raccontare del paese di Gomorra, Casal di Principe, la feritoia da cui osserva l’intera economia mondiale. Dove sbarcano le merci di contrabbando, si accumulano le scorie del nord e dove, in questi giorni, i casalesi inaspriscono le rappresaglie per ostentare un potere che reagisce alle provocazioni.
Ed ecco che il pentito Novello è punito con l’uccisione del padre Domenico, che la fabbrica di materassi “Pietro Russo” viene incendiata per il rifiuto di pagare il pizzo e che, sui muri di Casale, spuntano macabri disegni diretti a Saviano. Il motivo è presto detto: venerdì 16 maggio, al cinema “Faro” del piccolo comune in provincia di Caserta, 200 spettatori, in maggioranza scolari, formano la platea ‘speculare’ della prima di “Gomorra”. Il pubblico applaude perpetuando il miracolo di Saviano. Sì perché il segreto di un successo che squarcia il silenzio, urlando verità che in molti prima di lui avevano cercato di raccontare, è che a sfogliare quelle pagine sono stati proprio e soprattutto i giovani. Gli stessi che, ancora in erba, devono scegliere se schierarsi con i “buoni” o con i “cattivi”. Se essere pecore spaventate o meccanismi di un potere che ripaga crimini e morte con il rispetto derivante dalla paura.
È questa la forza di Saviano e del suo libro che oggi approda a Cannes tradotto in frame dal regista de “L’imbalsamatore”(2002). Ma se, in versione cartacea, “Gomorra” (Mondadori 2006) raggiunge quasi 1 milione di copie, è tradotto in 32 lingue e vende all’estero più di qualsiasi altra opera letteraria italiana, il film riscuote, tra gli applausi, anche qualche perplessità. Le critiche se la prendono con i personaggi un po’ stereotipati che irrigidiscono un racconto già pesante. Oppure con lo sfoggio di virtuosismi stilistici che, nella ripetizione, finiscono col diventare stucchevoli. Qualcuno infine fa notare che se è vero che il film dà ulteriore risonanza alla sua fonte letteraria, i camorristi di Casal di Principe, d’altra parte, potrebbero sentirsi lusingati nel culto della personalità che li fa assomigliare a stelle del cinema.