Un talento coltivato tra i banchi di scuola dove, durante le lezioni, scribacchia il suo primo romanzo, “Kif Kif domani” (Marna, 2002). È la storia di Doria, una quindicenne marocchina che affronta la triste atmosfera della periferia parigina con la precoce saggezza di chi ha bruciato le tappe della propria infanzia. Attraverso i suoi occhi, trincerati dietro un velo di cinismo, scorre la vita dei giovani vessati dal disagio sociale.
Quei ragazzi maledetti, 3 anni dopo, avrebbero popolato i telegiornali nei giorni bui del coprifuoco imposto da Villepin. Li avrebbero chiamati “sporchi negri”, “spacciatori”, ladri. Avrebbero gridato loro di tornare nei rispettivi paesi, nonostante i natali francesi. Ma sulle pagine firmate da Guène si legge che il flagello della periferia ‘dimenticata’ non nasce dal conflitto tra bianchi e neri, o tra cristiani e musulmani, ma dall’eterna guerra tra ricchi e poveri. Dalla mancanza d’istruzione, sanità e posti di lavoro.
La scrittrice lo sa bene, nonostante abbia all’epoca solo 17 anni. Lei, nata nel 1985 da emigrati algerini e cresciuta a Pantin (banlieu a nord della capitale), conosce la paura che si respira in quel sottobosco urbano e che spinge poveri e immigrati all’auto-emarginazione. La Parigi ‘bene’ li ha chiusi in una gabbia “neocolonialista” che, dietro una facciata di paternalismo, lascia intravedere il suo volto repressivo.
Grazie alla fiducia del professore di Francese che la segue al liceo, Faiza trova il coraggio di rivolgersi alla casa editrice Marna che le pubblica il libro. “Kif Kif” è accolto come il prototipo di nuovo Romanzo “sociale”, è tradotto in 22 lingue e vende milioni di copie.
Oggi, l’autrice torna con un altro successo, “Ahlème, quasi francese” (Mondadori, 2008) che, attraverso uno sguardo divertito e situazioni tragicomiche, racconta di un’altra eroina quotidiana dalla fibra titanica. La protagonista sembra tratteggiare il ritratto della sua giovane creatrice. Ahlème ha solo due anni di più e anche lei è algerina. Come già in Doria, l’ironico stoicismo le fa superare ogni prova: orfana di guerra, si prende cura del fratello minore e del padre, invalido a causa d’un incidente sul lavoro.
Ma il tono generale di questa seconda perla editoriale è più ottimista, nonostante gli argomenti trattati. Un filo rosso collega il tema delle banlieu a quello dell’immigrazione e pone l’accento sul ruolo delle donne rispetto all’esigenza di cambiamento. Il romanzo dà voce alle migliaia di madri che, dalla periferia, lottano ogni giorno al solo scopo di liberare i propri figli dalle catene psicologiche e sociali che li tengono intrappolati in quella realtà depressa. Come loro Ahlème si divide tra mille lavori malpagati ed il fratellino che rischia di trasformarsi in un teppista in erba. Ma, a dispetto del tragico passato, conserva la freschezza della sua età, riuscendo persino a mantenersi… “quasi francese”.