Condividono l’origine ebraica, la nascita sudafricana, e due lustri di comune impegno documentaristico. Adam Broomberg (1970) ed Oliver Chanarin (1971), lavorano in coppia nella loro città adottiva. Una Londra che li ha accolti in giovane età (il primo vi si trasferisce a 7 anni, il secondo a 20) e che costituisce l’humus fertile dove affondano le loro radici multiculturali e sviluppano un’attività d’avanguardia.
Dal 2002 al 2005 sono caporedattori e primi fotografi di “Colors”, rivista fondata nel 1991 da Luciano Benetton ed Oliviero Toscani. Grazie a loro, il magazine cresce sull’indagine socio-politica dei diversi paesi e sull’esaltazione costante delle differenze tra culture. Nel numero “Madness” affrontano il tema della follia con impietosi reportage sulle condizioni dei malati mentali in varie nazioni. In “Tours” partoriscono invece una guida turistica che, dalla Scuola degli Elfi in Islanda, alla visita delle Favelas brasiliane, fornisce itinerari alternativi a quelli delle edizioni più inflazionate. Mentre con “Slavery”, denunciano le sopravvivenze di una schiavitù giudicata estinta ma che serpeggia in mille forme anche nelle società considerate “civili”.
L’obiettivo di “Colors” e dei due artisti è restituire voce a chi non ne ha. Il loro occhio meccanico riempie quel vuoto, quel silenzio che esiste tra il mezzo di riproduzione e la realtà. È questo il fil rouge che guida un lavoro variegato, ma sempre teso a descrivere l’eroica dignità degli emarginati dal mondo. Così, nei capolavori editoriali che li hanno imposti all’attenzione generale. “Trust” (2000), che accompagna la loro prima mostra personale, “Ghetto” (2003) la raccolta di scatti pubblicati su Colors, ma soprattutto “Mr Mkhize’s Portrait” (2004). Il libro segna il ritorno dei due sudafricani nel paese d’origine e documenta, nelle lunghe pose in cui i soggetti si raccontano ai fotografi, il decennio del dopo apartheid.
Di particolare rilievo, anche la serie intitolata “Forest”, dedicata ai boschi di pini cresciuti sulle rovine della Palestina post-48. La coppia di artisti svela il valore politico di quegli alberi: oscurare la terrifica evidenza sottostante. Il topos della natura come testimone attonita dei disastri umani torna in “Chicago” (2006), raccolta dedicata ai massacri delle milizie israeliane in Medioriente negli ultimi 30 anni. In un rapporto di causa-effetto, l’immagine di un’anguria spappolata viene, ad esempio, associata ad una bomba kamikaze. L’idea riemerge anche nella loro ultima fatica, “FIG”, esposta attualmente alla John Hansard Gallery di Southampton. Qui è una foglia che, spazzata dall’albero ancora verde, registra l’evidenza di una strage consumata a pochi passi. “FIG” è stato presentato il 1 dicembre a Firenze nella prima libreria Steidl aperta dalla coppia nell’autunno corrente.
Broomberg e Chanarin hanno conquistato numerosi premi, tra cui spicca il Vic Oden Achievement della Royal Photographic Society, e collezionato prestigiose commissioni come i progetti per la National Portrait Gallery, la Soros Fondation e la Arts Council of England. Impegnati nella formazione di talenti nascenti, con i laboratori fotografici dello studio londinese, collaborano oggi con illustri riviste quali “The Guardian Week-end” e “The Observer Magazine and Life”.