Una antropologia del ciclo mestruale: “Quando le donne hanno la luna. Credenze e tabù”, edito da Baldini Castoldi Dalai, è un libro interamente dedicato ad un argomento quantomeno imbarazzante. Difficile anche solo nominarlo, senza provocare spiacevoli reazioni, di sconcerto o imbarazzo.
Un prezioso omaggio alla femminilità, che tra correntoni e tendenze di rivalse femministe, guerre alle diete e consigli di seduzione, sceglie piuttosto una strada che riporta a tradizioni sommerse, voci e saperi custoditi nel folklore, per rintracciare una storia diversa da quella ufficiale, e possibilità tutte da esplorare.
L’autrice Gianfranca Ranisio, docente di antropologia presso l’Università Federico II di Napoli, si è già dedicata a studi su tradizioni folkloriche (rituali e forme di devozione popolare, soprattutto nell’Italia meridionale) e gender studies su rappresentazioni e simboli legati alla scena del parto ( Venire al mondo. Credenze, pratiche e rituali del parto. 1996).
Due filoni che convergono in questo saggio a scardinare uno dei tabù più forti e profondamente radicati a controllare, reprimere, mortificare il corpo femminile.
Dal menarca alla menopausa, il ciclo mestruale accompagna la nostra vita per circa 30-40 anni: se in altre culture e tempi le donne si ritirano, per radunarsi in giorni considerati di massima potenza e saggezza, e restituire il flusso rosso alla madre terra, nella società occidentale c’è una assoluta carenza di simboli o riferimenti per ognuno di questi momenti.
Piuttosto turbamento e confusione danno adito ad una serie di voci e leggende (come il divieto di toccare piante e vegetali), inquietanti sindromi poi costantemente rinnegate da nuvole di tulle e corpi leggiadri in morbidi azzurri: azzurri sempre, assolutamente, e mai una goccia di rosso sangue a turbare il candore dei quadri pubblicitari, le percezioni promosse dal senso comune.
Fino al terrifico traguardo della menopausa, ciò che accompagna la vita della donna è una assoluta mancanza di conoscenza, un ingiustificato bisogno di nascondere piuttosto che di scoprire.
Al più di intervenire attraverso la medicalizzazione ed il trattamento farmacologico, che identificano così come un disagio ed una patologia giorni sottratti al loro diritto alla diversità, da restituire prontamente al ritmo frenetico quotidiano, annullando un momento, un passaggio di tempo, carico di intuizioni per sperimentare e scoprire nuove modalità di rapportarsi al proprio corpo.
La ripetitività e la ciclicità del mestruo, il simbolismo di quel sangue che più afferma la diversità sessuale della donna, richiamano ai cicli naturali, alle fasi della luna, all’anima del mondo, schernita dalla cultura dominante. Per raccontare quando le donne hanno la luna, occorre allora recuperare parole vietate e negate, incuriosirsi e rifiutare la educazione alla passività, conoscere la possibilità di stare con sicurezza e orgoglio nel proprio corpo.