L’arte messicana è spesso confinata nei più reconditi anfratti dei manuali di storia dell’arte. A malapena il grande pubblico ricorda i nomi di Orozco, Siqueiros, Rivera e Tamayo, i suoi protagonisti più significativi. Il velo di nebbia sembra squarciarsi, però, al cospetto del nome di Frida Kahlo. Forse per l’alone di mistero che aleggia nei suoi autoritratti, forse per la sua forte personalità. Senza dubbio per le esperienze avventurose, e spesso drammatiche, che hanno costellato la sua vita.
Fondamentale per la sua crescita, la relazione con il pittore messicano Diego Rivera. Marito e moglie. Amanti. Separati in casa. Dalla vita e dalla malattia. Prede di passioni violente. Lei, solitaria, complessa, viscerale. Lui, bugiardo, mitomane, affabulatore. Quando Frida muore, Diego eredita la Casa Azul, per farne dopo qualche tempo il proprio museo. Per circostanze insdondabili, sul letto di morte il celebre pittore chiede alla madre di non aprire la stanza da bagno di Frida. Per quindici anni, questa la misteriosa consegna.
La stanza, in realtà, resta chiusa per mezzo secolo. All’interno si è custodito il segreto del suo inconfondibile trasformismo. Cosa si celava nel bagno di Frida? La risposta: i suoi vestiti. Quasi duecento. ‘Per Frida vestirsi era un rito, poteva durare ore, tra la scelta del vestito, del trucco, delle acconciature’ spiega Magdalena Rosenzweig, restauratrice del guardaroba venuto alla luce. Sembra che i vestiti custodiscano ancora il suo odore.
Per decenni non è stato attribuito alcun valore agli oggetti e ai vestiti di Frida. Ora sono reliquie. Sono stati recuperati anche il famoso scialle magenta e certe gonne indigene tehuane, che indossò quando posò come modella per il fotografo ungherese-americano Nickolas Muray. Altri abiti recano bruciature di sigaretta e macchie d’olio, segni di usura che ancora parla di lei. Attraverso il suo guardaroba si può ricostruire quasi tutta la sua opera, a cominciare dai cosidetti ‘resplandores’, che incorniciano il viso in un ovale. Come quello presente nel quadro ‘Diego en mi pensamiento’ (foto).
A quell’epoca, siamo intorno al 1930, era insolito vedere una donna non indigena vestita in modo tale. Un’immagine, ancora parole di Magdalena Rosenzweig, che ‘provocava ammirazione e rigetto, sia a Città del Messico che a New York o a Parigi’. Negli anni ’60 e ’70 i vestiti indigeni andavano molto di moda, più per ragioni politiche che estetiche. Ma esiste anche un’altra ragione per cui Frida indossava abiti larghi: per nascondere le sue protesi, lascito di un incidente molto grave di cui l’artista rimase vittima ad appena quindici anni.
Tra abiti, trucchi, gioielli e quadri, più di mille sono i pezzi da catalogare di questa icona della liberazione femminile. Figura idolatrata da tante donne, tra cui Madonna, popstar alla testa di una folla che trascende le frontiere. Oggetti che potranno essere ammirati a partire dal 2007, quando ricorrerà il centenario della nascita di Frida e il cinquantenario della morte di Diego. Fino ad allora, chi vorrà contemplare i suoi oggetti, dovrà recarsi a Coyoacàn, Città del Messico. Per prendere contatto con una protagonista dell’arte del XXI secolo, Frida, donna del Terzo Mondo. Abiti e profumi la riportano in vita, alimentando un ‘eccentricità che non smette mai di affascinare.