Bibe vivas multis annis, ovvero, ‘bevi che campi cent’anni!’ Queste parole incise su una coppa vitrea risalente al IV-V secolo, oggi custodita al Civico Museo Archeologico di Milano, sono divenute il motto emblematico di quella realtà vitivinicola piemontese territorialmente definita dalle colline novaresi. Dietro alla sagace ironia così congeniale agli antichi , si cela il gusto del buon vivere associato al buon cibo, a sua volta legato in una programmatica simbiosi al buon vino. Orbene, i vini delle colline novaresi rappresentano la sintesi della più antica tradizione vitivinicola della regione.
Una terra, quella del novarese, che ha nel vigneto stesso un elemento simbolico e distintivo del paesaggio e nei vini i prodotti più apprezzati da un numero sempre crescente di estimatori. Boca, Fara e Sizzano sono vini Doc a lungo invecchiamento, fra i quali spicca il prestigioso Ghemme Docg. Vini di gran corpo ottenuti dai vitigni tradizionali delle colline: Nebbiolo (il principe dei vitigni novaresi), Vespolina e Bonaria, quest’ultima coltivata in alcune zone del Piemonte con il nome di Croatina.
Ma vediamoli da vicino, questi preziosi vini la cui importanza traspare in controluce dall’arte, dalla poesia, in un parola, dalla cultura della terra prodiga da cui nascono. Di colore rosso rubino è il Fara Doc, prodotto con uve provenienti dai territori di Fara Novarese e di Briona. A darci conferma dell’importanza ricoperta dai vigneti in questa zona sono gli affreschi del XV secolo della romanica Chiesa di San Pietro e Paolo di Fara Novarese, dove sono riprodotti una serie di dieci dipinti rappresentanti i cicli dei mesi (da aprile a gennaio) e dove compare un contadino intento a pigiare l’uva dentro un grande tino.
Sfumature granata, invece, per il Boca Doc, prodotto con uve dei territori di Boca e dei comuni di Maggiora, Cavallino, Prato Sesia e Grignasco. Le colline di Boca coltivate a vigneto costituiscono una sorta di anfiteatro – divenuto nel tempo un “paesaggio culturale” – che corona a nord il paese, offrendo le loro pendici alla migliore esposizione dei raggi del sole anche nella stagione invernale. Questo vino, conosciuto in loco anche come “vino dei Papi”, si abbina a primi piatti, carni rosse e cacciagione.
Stesso colore, rosso rubino con gradazione granada, per il Sizzano Doc la cui produzione utilizza uve dei territori del comune di Sizzano e i vitigni nebbiolo, Vespolina e Bonarda novarese, o Uva Rara. La storia di questo vino è legata al nome di Cavour il quale dovette apprezzarne molto il gusto, come si evince da una lettera-elogio inviata dal Conte al senatore novarese Giacomo Giovanetti, complice dell’assaggio.
“Confesso ingenuamente che l’ottimo vino di Soizzano mi ha quasi convinto della possibilità di fabbricare in Piemonte vini di lusso. Cotesto vino possiede in alto grado, ciò che fa pregio ai vini di Francia, e manca generalmente ai nostrani, il bouquet. Il bouquet del Sizzano non somiglia a quello del Bordeaux, bensì al bouquet del Borgogna, il quale per certe località gode la primizia su tutti i vini di Francia…”. Least but non least, il Ghemme, già Doc dal 1969, ha conquistato la preziosa Docg nel 1997. Dire Ghemme è come dire Nebbiolo, padre dei grandi rossi piemontesi, il cui nome trova etimo nelle prime nebbie che si alzano durante la tarda maturazione dell’uva.
I territori che generano questo nettare pregiato dal sapore asciutto, sapido, con un fondo amarognolo, sono quelli di Ghemme e Romagnano Sesia. Anche in questo caso le origini sono antiche. La città romana di “Agamium”, in seguito Ghemme, scelse come simbolo un grappolo d’uva e un mazzo di spighe di grano per il gonfalone comunale, tanta era la quantità di vino prodotta. Concludiamo con una nota di colore locale che traduce una canzone dialettale “Qui a Gemme è un posto dove cresce di tutto: biade, fieno e tanto granoturco. Terre buone, buoni frutti, ma il suo forte è fare il buon vino”.