Figlio di hippy, ha conosciuto
fin da bambino scrittori maledetti come Bukowski e Hubert Selby, porta il nome
di Leonardo Da Vinci, di fronte al quale, ancora nella pancia, tirò una scarica
di calci alla madre in visita agli Uffizi. Dopo l’inizio burrascoso in TV,
quando veniva buttato fuori dai programmi per il comportamento scorretto, ha
dimostrato al mondo che di fronte al talento si perdona l’insolenza. Nel 1993,
a soli diciannove anni, si guadagna la prima nomination all’Oscar per
“Buon Compleanno Mr Grape”, dove interpreta il fratello ritardato di
Johnny Depp.
È Arthur Rimbaud in “Poeti
dall’inferno”, è Romeo Montecchi in “Romeo + Giulietta”, e
finalmente è Jack Dawson in “Titanic”, film che lo consacrerà tra le
star di Hollywood.
Tra un ruolo maledetto e un ruolo
eroico, tra il film d’autore e il film per il botteghino, Di Caprio conserva
integra la sua dignità di attore e viene conteso dai più grandi registi del
cinema americano.
Nel 1997, secondo
“People”, figura tra i 50 uomini più belli del mondo. Nello stesso
anno, secondo “Empire”, è al settantacinquesimo posto dei migliori
attori.
Geloso fino all’ossessione della
sua vita privata, non ama dare interviste. Poco o nulla si sa dei suoi amori. È
finita da poco la storia con la modella brasiliana Gisele Bundchen, con la
quale l’attore aveva convissuto per quattro lunghi anni.
Lo vedremo tra poco in “The Aviator”, nuovo film di Martin
Scorsese, che narra la storia del miliardario Howard Hughes, avventuriero la
cui carriera si spegne a causa di inguaribili paranoie. Paranoie che peraltro,
secondo una recente intervista rilasciata da Di Caprio, sembrano aver
irrimediabilmente contagiato l’attore.