Tappa di un itinerario classico, Puno ci saluta
mentre scendiamo dal ferrocarril più alto del mondo* con una parola strana soroche.
Oltre tremilaottocento metri la separano in altezza dal mare, e l’ossigeno
diventa merce preziosa. Il soroche, infatti, il mal di montagna,
aggredisce chiunque non abbia saputo fermarsi adeguatamente ad Arequipa o a
Cuzco. O chiunque non accetti di combatterlo con le prelibate foglie di coca.
Tra mercati in fibrillazione, frotte di bambini
che scorazzano, il continuo tributo a madre terra (pachamama), la vita
scorre lenta per gli oltre ottantamila abitanti di Puno. Le condizioni
atmosferiche sono estreme in questa città fondata nel 1668 accanto a una
miniera d’argento allora ‘inesauribile’ e oggi Puno per il turista sembra
significare soprattutto i maglioni di alpaca, le centinaia di danze
tradizionali che l’hanno resa famosa e soprattutto il lago che è la sua vita.
Grande più dell’Umbria intera, il Lago Titicaca,
il più alto navigabile nel mondo, è a due passi dal sole, il principale dio
degli Incas. Alcuni miti dicono che da qui uscirono i primi due re Incas, ma
chi ci vada oggi trova ben altra accoglienza. Sulle islas flotantes, le
isole galleggianti fatte di fibra di totora, gli Uros sostengono di
essere ben più antichi degli Incas e non solo per questo sarebbero gli unici
sopravvissuti…
Abituati a fuggire dal dominio Inca e a respingere
l’assalto di qualsiasi estraneo, gli Uros coltivano usanze e religioni con una
scuola galleggiante e una chiesa galleggiante – ossia con un istinto
consolidato di resistenza. Perché sono loro, gli Uros, gli unici che esistevano
prima di To Ti Tu il creatore degli uomini bianchi, quelli che hanno sangue
nero e vengono da un altro pianeta… Così raccontano sulle acque color smeraldo,
mentre l’occhio si perde tra i riflessi d’oro e le striature celesti.
In realtà il sangue di questo popolo è ormai
contaminato dalle unioni con gli indios di lingua aymara e la principale fonte
di sostentamento è ormai il turismo. Ma non smettono, queste poche centinaia di
uomini galleggianti, di sostituire la totora marcia delle isole, anche di
quelle ormai ancorate e dotate di pannelli solari, né smettono di intrecciare
canne per costruire canoe potenti che quasi ricordano altre popolazioni
antichissime e totalmente estranee come quelle scandinave.
Così, mentre le case in muratura augurano buon
viaggio, ci saluta non il mal di montagna ma il mal di terra e l’andatura
ballonzolante degli Uros sulla terraferma ha finalmente origini che non
affondano solo nel mito. Eppure sono proprio i miti a restar dentro, ad
ancorarsi tra le sensazioni più vivide. Perché spiegano meglio di qualsiasi
resoconto l’istinto orgoglioso di conservazione che ancora puoi leggere negli
occhi dei bambini galleggianti.