Hussein Chalayan, lo stilista
dell’uomo pensante, paladino dei giovani artisti di tutto il mondo, è nella
capitale per presentare il suo ultimo film. Si tratta di un lavoro realizzato
in seguito all’ennesimo riconoscimento
tributato all’artista turco-cipriota di adozione inglese, vincitore dei più
prestigiosi premi nel campo della moda e dell’arte. Il film esplora le
implicazioni della velocità e della tecnologia nella società contemporanea.
Un viaggio psicologico
complicato: partenza Londra, destinazione Istanbul.
A bordo di una navicella-guscio
avveniristica (il pod), in una prospettiva fluttuante dall’oggettivo al
soggettivo, incontriamo una delle stelle più brillanti del firmamento dell’arte
e del fashion contemporaneo.
“Ero interessato all’idea della velocità come esperienza
attuale. Ho voluto creare una capsula che segnalasse un viaggio, che contenesse
il senso di spostamento e l’idea che noi creiamo dei piccoli rifugi in ogni
situazione. Il nostro modo di vivere implica movimenti continui che definiscono
degli spazi. Ovunque noi siamo: in aereo, in auto, in ufficio, stabiliamo una
mini casa. E’ quasi una nuova antropologia dello spazio, costituita dalla
quantità di tempo che trascorriamo nei luoghi pubblici. Il viaggio inizia in un
parcheggio londinese e finisce a Istanbul. Ho fatto accadere il tutto in queste
due città, perché io sono di provenienza turco cipriota e vivo in Inghilterra,
respiro cioè la cultura asiatica e quella europea. Londra, la New York europea
e Istanbul mediterranea e femminile”.
La velocità costituisce un vantaggio o un problema?
“La velocità non riguarda solo i mezzi di trasporto.
Internet è una forma di velocità, anche la comunicazione telefonica lo è. C’è
una sorta di straniamento in tutto ciò che facciamo. E’ possibile essere in più
di un posto contemporaneamente. La vita è più semplice, ma molto più
accelerata, sembra che anche gli orologi vadano più veloci. Questo è
fantastico, ma non c’è tempo per pensare”.
Proviamo a dare una presentazione di Hussein Chalayan
“Sono uno stilista e anche un artista, un ideas person. Non amo stringermi in un ruolo.
Sono curioso, adoro imparare cose nuove, sono cresciuto in un ambiente
bi-culturale. Faccio parte di una generazione che vive questa dualità. Ho studiato all’estero e
mantengo il valore della famiglia. Penso di rappresentare una specie di
diaspora vivente”.
Da dove nascono le sue creazioni?
“Sono un osservatore distaccato del comportamento umano, amo
analizzare le caratteristiche di differenti culture. Le cose che mi interessano
sono l’idea di identità e di pregiudizio. Sono attratto da ogni aspetto che
traccia l’identità di una persona”.
Quale pensa che sia, oggi, la sfida più grande?
“La sopravvivenza, per forza! Mantenere la propria identità
e sopravvivere. La globalizzazione sta annullando la varietà culturale, con il
rischio di creare un mondo piatto. Essere progressisti, salvaguardando al
contempo le tradizioni, questa è la sfida”.
Artista, fashion designer, regista…a cosa preferisce
dedicarsi?
“Mi piace fare tutto, i film e gli abiti diventano un
monumento per il mio lavoro di designer. Ho un mio mondo proprio in cui ogni
espressione stabilisce delle connessioni interne”.
Crede che esista uno stile evergreen, una tendenza che
attraversi le epoche?
“Non la definirei una tendenza, né uno stile. Le cose che
credo non moriranno mai sono la famiglia e la cultura del cibo. Famiglia,
amicizia e cibo: universali e senza tempo.
La tendenza è qualcosa che dipende da ciò che la gente rende
popolare in un determinato momento, è una specie di vendita di un prodotto, o
di un’idea. Trovo interessanti alcuni trend, soprattutto quelli connessi
all’ambiente. Li trovo interessanti da osservatore, ma non desidero
necessariamente parteciparvi. Non si tratta di essere snob, penso sia
importante individuare quello che differenti culture sentono popolare, vicino o
da raggiungere, in un certo momento. Sono attratto dalle idee e dalle
situazioni senza tempo, non mi sento motivato dai trend”.
La moda è un mezzo esclusivo o inclusivo?
Può essere entrambe le
cose. Si può creare qualcosa di esclusivo perché si producono un numero
limitato di pezzi. C’è una differenza però, tra l’essere esclusivo perché si
creano pochi capi di qualità, e l’essere esclusivo per servire un’elite. Non
sono interessato a un pubblico di pochi, ma mi rendo che creare un lavoro
artigianale è più costoso e fa sì che poche persone possano avvicinarsi. Sei
fai qualcosa di davvero speciale, non puoi farlo per migliaia di pezzi.
Desidero che la gente sia ispirata dalla forma e non dal vestito. C’è una
duplicità nel mio lavoro, alcuni oggetti diventano abiti e viceversa”.
Cosa la diverte?
“La mia famiglia, rido molto con loro. Come in ogni nucleo
mediterraneo, le donne sono protagoniste, ma in generale ogni componente della
mia famiglia è così puro e gentile, per niente intaccato dall’esterno… e con un
grande cuore.”
Ha un desiderio per il futuro?
“Aspiro ad una società senza pregiudizi e più aperta mentalmente. La
società occidentale è piena di dogmi. Pur essendo turco, in vita mia non sono
mai stato a pregare in una moschea, ma in Inghilterra quando andavo a scuola,
sono stato costretto ad andare in chiesa. Credo che le persone dovrebbero
imparare ad abituarsi e a tollerare gli altri”.