Lultima sala dellesposizione è consacrata alla celebrazione dellartista che più di ogni altro ha rappresentato letà neoclassica: il veneto di nascita e romano dadozione, Antonio Canova (1757-1822).
Esaltato in vita come il nuovo Fidia, richiesto dai sovrani di tutta Europa, Canova, artefice divino, era riuscito, secondo i contemporanei, non solo ad eguagliare, ma perfino a superare gli antichi, dando nuova vita alla perduta bellezza del mondo greco. Quando morì la società dellarte e delle lettere fu in lutto: era scomparso lultimo e più grande maestro.
Le opere selezionate intendono ripercorrere la vicenda dello scultore dalla gioventù sino alla maturità, acquisita già alla fine del Settecento.
LOrfeo dellErmitage (1777) documenta della prima attività di Canova quando, ancora a Venezia, si orientò verso il recupero del naturalismo cinquecentesco di Jacopo Sansovino e Alessandro Vittoria.
Il soggetto del Teseo vincitore del Minotauro, gesso conservato presso le Gallerie dellAccademia, venne suggerito allartista, già residente a Roma, dal mercante inglese Gavin Hamilton. Lintento di Canova fu quello di dare corpo al motto winckelmanniano di nobile semplicità e quieta grandezza. Il gruppo viene oggi considerato come una sorta di manifesto della conversione stilistica operata dallo scultore: manifesto di unarte in cui lelemento ideale, personificato da Teseo, simpone e trionfa sullelemento animale, allusivo ad una concezione istintuale, naturalistica del fare artistico.
Straordinaria è la serie dei bassorilievi Rezzonico (tredici in tutto), commissionati allartista dal senatore di Roma Abbondio Rezzonico alla fine degli anni Ottanta del Settecento. Trionfano i temi omerici e le storie di Socrate, il Santo della ragione. La riuscita intenzione di creare un linguaggio figurativo nuovo, capace di rendere la forza e la carica ideale dei testi greci, rese immediata gloria al ciclo, modello per le successive elaborazioni di John Flaxmann (del quale sono in mostra incisioni a puro contorno realizzate nel 1793 a commento dellIliade e dellOdissea).
La Maddalena penitente del Museo di SantAgostino a Genova e il gruppo di Venere e Adone (nella versione in gesso della Gipsoteca di Possagno) chiudono, emozionando, il percorso espositivo. Il marmo a soggetto mitologico, commissionato dal nobile genovese Francesco Berio, arrivò a Napoli nei primi mesi del 1795 e fu collocato in un tempietto appositamente costruito nel giardino del palazzo del signore, in via Toledo. Il successo fu immediato e clamoroso. Nel 1821, alla morte di Berio, il gruppo venne acquistato dal colonnello Guillaume Fabre che lo trasferì nella sua villa a Ginevra. Prima che giungesse a destinazione Canova, ancora vivo, volle ritoccarlo per renderlo migliore. E questa una significativa testimonianza di come egli intervenisse sulle proprie opere a decenni di distanza, quasi per corrispondere ad un inappagato desiderio di perfezione.
Il nuovo Fidia: Antonio Canova
L’ultima sala dell’esposizione è consacrata alla celebrazione dell’artista che più di ogni altro ha rappresentato l’età neoclassica: il veneto di nascita e romano d’adozione, Antonio Canova (1757-1822).