L’architettura del futuro non deve necessariamente inseguire affannosamente lo sviluppo tecnologico: a volte è tornando indietro, alle origini dell’edilizia e alle sue ramificazioni più umili, che si ritrovano i materiali più resistenti, ecologici, rinnovabili, economici e versatili. E’ il caso del bambù, largamente impiegato nei paesi Asiatici in primis, ma anche in Africa e America Latina, piuttosto dimenticato in Occidente, ma di recente riscoperto da designers e progettisti. Materiale ideale per la costruzione di case ed edifici di grandi dimensioni, si presta benissimo a rivestire pavimenti e a dar vita a strutture architettoniche articolate, il bambù è probabilmente la fibra più ecosostenibile che si possa impiegare nell’edilizia.
Si tratta infatti di una erba graminacea il cui fusto è estremamente flessibile e resistente, ed ha una capacità impressionante di ricrescere (più di 1 metro al giorno!), cosa che rende le foreste di bambù perennemente giovani e in grado di rinnovarsi con una velocità di molto superiore ad una foresta di faggi, abeti, o qualsiasi altro legname. In un anno si può ottenere dal bambù circa 20 volte più legname rispetto agli alberi tradizionalmente impiegati in edilizia; secondo alcuni, il suo rendimento (calcolato in base al peso per ettaro per anno) è addirittura 25 volte superiore a quello del legname. Tra i pregi del bambù inoltre, un’altissima capacità di assorbire anidride carbonica: rispetto alle foreste di alberi, ne cattura fino a 4 volte di più, mentre produce un buon 35% di ossigeno extra. Continuiamo la carrellata di virtù ecologiche con il fatto che le foreste di bambù limitano l’erosione del suolo e non necessitano di fertilizzanti per crescere tanto velocemente.
Per quanto riguarda le prestazioni nell’edilizia, il bambù ha il pregio di essere leggerissimo, flessibile ed estremamente resistente, il che lo rende ideale come materiale antisismico, senza considerare poi il fattore economico decisamente ridotto rispetto ai materiali naturali tradizionali. Si presta perfettamente per strutture e pavimentazioni naturali, e diversi architetti negli ultimi dieci anni hanno dimostrato attraverso opere mastodontiche la necessità di rivalutarne i pregi. Tra gli architetti specializzati in questo materiale, Simon Velez, che per l’expo di Hannover del 2000 stupì tutti con il gigantesco padiglione in bambù; Darrel De Boer, che negli USA ha edificato diverse abitazioni ed edifici pubblici; Jorge Moran, che in Equador lo utilizza per un’edilizia popolare a basso costo; i giapponesi Shigeru Ban, che lo impiegano associato al cartone per la ricostruzione di zone disastrate da cataclismi naturali; e non ultima Linda Garland, che gestisce la Bamboo Foundation, associazione con lo scopo di diffondere la conoscenza su questo materiale che secondo lei rappresenta il futuro sostenibile più accessibile.
Esistono però degli aspetti negativi, ed è giusto indicarli: il bambù è poco adatto per impieghi in falegnameria tradizionale, perché la sua forza deriva dall’utilizzo integrale dei fusti, meno adatti invece ad essere sezionati e integrati. Inoltre alcune specie di bambù si diffondono talmente velocemente da rischiare di ‘infestare’ ampie zone. Ma soprattutto, la considerazione meno ecosostenibile è che, essendo largamente diffusa la coltivazione in Asia o America Latina, il trasporto in Europa e negli Stati Uniti comporta ampio dispendio di CO2: occorre in tal caso soppesare bene la convenienza, in termini economici e di impatto ambientale dell’utilizzo di materiali reperibili in loco.