Sembrava il classico consiglio della mamma per evitarci lo status di “single a vita”. Uno di quei consigli da dare alla soglia dei 30 anni. Insomma, per spingerti verso il matrimonio. E per metter su una propria famiglia. Invece no, era davvero tutto vero. La solitudine fa davvero male al cuore. E sarebbe associata a un rischio due volte maggiore di morte prematura. E di malattie cardiovascolari.
Lo rivela uno studio presentato durante il congresso “EuroHeartCare 2018” dai ricercatori del Copenhagen University Hospital, guidati da Anne Vinggaard Christensen. Questa afferma: “Oggi la solitudine è più comune che mai, e un maggior numero di persone vive da solo. Ricerche precedenti hanno dimostrato che la solitudine e l’isolamento sociale sono collegati alla malattia coronarica e all’ictus, ma questo fenomeno non era ancora stato studiato in pazienti con diversi tipi di malattie cardiovascolari”.
Sono state indagate le condizioni di salute di 13.463 persone. Tutte affette dai seguenti disturbi cardiovascolari. Parliamo di cardiopatia ischemica, aritmia, insufficienza cardiaca o valvulopatie. I ricercatori hanno intrecciato i dati relativi a status, relazioni e convivenze. E li hanno associati ai risultati del sondaggio “DenHeart”, che è stato somministrato ai pazienti dimessi tra aprile 2013 e aprile 2014 da cinque centri cardiologici danesi.
Malattie cardiovascolari, il rischio aumenta se ci si sente soli.
Il questionario conteneva domande sulla salute fisica e mentale, su fattori collegati allo stile di vita, come il fumo, e sui rapporti sociali. Per poi verificare la loro reale sensazione di solitudine. A conclusione dei fatti, la solitudine e l’isolamento sociale erano associati al peggioramento delle condizioni di tutti i pazienti. Di qualsiasi malattia si parli. Con un dato che ha destato particolare preoccupazione. La solitudine, infatti, risultava collegata a un rischio di morte prematura due volte maggiore per uomini e donne. Inoltre, entrambi i sessi avevano probabilità tre volte più alte di sperimentare ansia e depressione. E di avere una qualità della vita peggiore rispetto a chi non si sentiva solo.
“Viviamo in un’epoca – conclude la Dr.ssa Christensen – in cui la solitudine è maggiormente presente e gli operatori sanitari dovrebbero tenerne conto nella valutazione dei rischi per la salute. Il nostro studio dimostra che fare domande sul supporto sociale fornisce molte informazioni sulla probabilità di sperimentare esiti negativi in termini di salute”.